Ho vissuto giorni densi e faticosissimi. Ecco come, tra eventi rocamboleschi, scene fantozziane e incontri sorprendenti, ho capito l’importanza di essere come piante del deserto.
Il mio racconto parte da una serie di rocamboleschi eventi personali, che, mi giustifico in anticipo, non hanno l’intento di protagonismo, ma sono lo spunto per riflessioni più profonde. Tenete duro, arrivate fino alla fine e capirete perché è importante essere come piante nel deserto.
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Appuntamento importante della settimana era un workshop presso uno staff meeting di clienti a cui tenevo particolarmente. La persona che mi aveva ingaggiato lo aveva fatto con l’obiettivo di introdurre un approccio diverso ai processi interni di design, avrei lavorato con un team di 30 persone con professionalità e esperienze differenti, sparpagliato sul territorio nazionale (e internazionale) riunito per l’occasione.
Fin qui nulla di particolare, direte voi, anch’io lo avrei detto, se non fosse che il destino si è accanito in maniera particolare.
Inizia il viaggio dell’eroe
La mia trasferta in giornata su Bologna è partita con una centralina danneggiata a Firenze che ha creato il tilt dei treni e delle stazioni. I ritardi fino a 4 ore venivano spesso coronati da cancellazioni finali del treno.
La giornata molto calda e la disperazione dei numerosi passeggeri a Termini ha fatto collassare le linee telefoniche rendendo difficilissime le chiamate. In maniera funambolica, insieme al mio cliente, abbiamo concordato che, vista la situazione troppo mutevole, sarebbe stato meglio spostare il workshop alla giornata successiva.
Bene, una giornata sfortunata terminata con una soluzione, direte voi, là per là lo ho pensato anche io.
Il giorno successivo di buon ora sono di nuovo alla stazione Termini pronta a portare a termine la mia missione. Parto sistemando lo zaino con pc e materiali vari: pennarelli, portapenne colorati, gong, forbici, scotch e qualche post it di riserva (tanto me li aveva assicurati in sede il cliente!) e sistemo nella cappelliera la grande cartellina porta A2 prestata dalla mia amica Marzia con tutti i differenti canvas, foto e interviste i gruppi di lavoro, tengo con me la borsetta personale.
Parto tranquilla
Ho tutto, parto tranquilla, cerco di riprendermi dalla giornata precedente.
Arrivo a Bologna, salto su un taxi e raggiungo la destinazione: una “location molto trendy dove si fanno cose cool”. Nell’aprire la porta di accesso realizzo di avere le mani troppo libere e di aver lasciato la cartellina porta A2 (scusa ancora Marzia!) sul Frecciarossa direzione Milano.
A questo punto, potete esordire con un “ohi ihoi“. Io ho preferito un urlo (NOOOOO!!!) in mezzo alla strada, il signore dietro di me quasi muore di infarto.
Ok, panico
Respiro, apro la porta, mi dico di mantenere la calma e studiare la situazione. All’interno dell’ambiente molto trendy trovo il team dei miei clienti infilati in tute da CSI che dipingono con vernici e pennelli enormi tele per terra. “Ciao! Stiamo facendo team building creativo! Ne abbiamo ancora per un po’”
Fantastico – penso – io invece devo farvi uno squallidissimo workshop senza il consistente materiale che avevo preparato per voi. È finita.
Dopo un momento di scoramento prende il sopravvento una lucidità totale in stile macchina-da-design-thinking:
Come posso replicare l’esperienza che avevo immaginato per loro con le (poche) risorse a disposizione?
Ho raccolto tutti i fogli A4 che vedevo, sono andata a pietirli alla reception e ai team vicini raccontando la mia tristissima avventura: scotch, pennarelli e forbici hanno fatto il resto. Ho disegnato i canvas su 4 fogli attaccati insieme. Ne ho fatti molti per ogni squadra. Ho tagliato e incollato poster come se non ci fosse un domani. Brutti? Sì, brutti, ma funzionali al mio obiettivo.
Preparo il kit di materiale per ogni team e chiedo i post it alla referente.
“Mmmhm, non riusciamo a trovarli, temo che ce li abbiamo rubati”. Mi risponde il cliente.
Ok – penso io – cos’altro può succedere?
Rifletti, Cristina, non perderti, focalizzata. Qualche post it di pronto intervento lo avevo con me, il resto poteva essere riportato direttamente sui canvas (=sempre grande risorsa).
Show must go on
Via, si inizia! La prima mezzo’ora ho avuto davanti facce perplesse (ci credo, mica potevo concorrere con i CSI!), poi dubbiose. Piano piano, potere del lavoro collaborativo, i team, formati in maniera casuale, hanno iniziato a sbocciare: a confrontarsi e a discutere, a creare e a immergersi nel contesto della sfida proposta (per niente semplice, aggiungerò).
Non importava più l’assenza delle foto dei senior, l’assenza delle icone dei wereable, le mie linee sbavate e le scritte storte. I gruppi prendevano vita all’unisono con idee e modalità diverse, con la sensazione di un fervore e un entusiasmo crescente.
Alla fine i clienti sono stati contenti, ma io vi assicuro, molto di più e capirete perché. Sono stata fiera della focalizzazione, della lucidità e della leggerezza. Mi sono sentita grata.
Ho ringraziato, perché avevo vissuto una bella esperienza e mi sono diretta in stazione.
Non è finita così? Ancora Cristina, mi direte voi,? No, vi assicuro, il bello viene ora.
Ogni cosa al suo posto
Sulla banchina sotterranea della stazione di Bologna attendo trepidante il treno di ritorno, obiettivo: collassare per 2 ore.
Ci guardiamo e riconosco un vecchio collega, della mia precedente azienda, che non vedevo da tempo.
Le successive 2 ore sono state un fiume di parole e di ricordi. Mi racconta tra le tante cose che cosa significa vivere con un bambino con una gravissima malattia rara. Lo fa con coraggio, senza enfasi, mi racconta di viaggi negli USA, di contatti con ricercatori coreani e di presentazioni ai medici del Bambin Gesù. Mi racconta di associazioni di genitori e di quanto sia difficile anche sono uscire a mangiare una pizza.
Mi passano davanti tutti gli eventi convulsi e i sentimenti contrastanti dei due giorni precedenti: evaporano in un secondo. Immediatamente tutto viene rimesso al suo posto: preoccupazioni, rabbia, fatica, paura, lavoro, persone, insicurezze non contano più nulla.
A mente più fredda e distaccata ho capito, ecco quello a cui sono giunta.
Ecco cosa ho imparato
- Se i treni hanno 4 ore di ritardo è inutile insistere. Se non si può non si può.
- Se si porta materiale importante va legato al polso come le valigette portavalori
- I materiali per i laboratori non devono mai diventare feticci. Immaginate sempre di fare senza
- Il laboratorio che c’è prima di voi sembrerà sempre più figo (ma poi non è detto)
- Mai perdersi d’animo e portarsi sempre dietro cose per: attaccare, tagliare, colorare con forme da seguire
- L’ambiente intorno a voi offre sempre soluzioni alternative, basta individuarle
- Di fronte a situazioni immense ed emozioni abissali i quotidiani eventi fantozziani fanno solo ridere
- Gli ostacoli non sono tali per sempre, bisogna solo essere pronti a rileggere gli eventi in una nuova luce
- Imparare ad essere come piante del deserto per trovare sempre la risorsa necessaria: salva qualunque situazione.