Ad agosto Luisa Carrada ed io abbiamo partecipato ad una esperienza per noi nuova: un laboratorio di Service Design ad una Summer School (Laboratorio Umano di rigenerazione Territoriale) nell’entroterra siciliano.
Sono stati 7 giorni di testa, mani cuore quello che ci ricorda Otto Scharmer dovrebbe essere sempre un buon design.
Per entrambe ha significato un tuffo dove l’acqua è più blu ricchissima di vita, che ha richiesto un necessario tempo di elaborazione per un bilancio più accurato, che ora vi riporto qui.
Quello che vorrei restituirvi è il racconto di 7 giorni intensissimi, accanto a persone differenti per background ed esperienza, con l’obiettivo di trasferire buone pratiche di design in un percorso immersivo e giocoso di oltre 50 ore di didattica applicata.
Ecco qualche riflessione e spunto su cosa ho imparato (o sto ancora rimuginando).
Prepararsi (in maniera maniacale) salva la vita
La progettazione del percorso è durata circa due mesi, dove abbiamo adottato in prima persona gli step del design thinking.
Ci siamo date una sfida: riformulata e aggiustata con il sopraggiungere di nuove informazioni (i temi della memoria, del femminile, dell’impegno sociale, etc.).
Ci siamo immerse: abbiamo fatto ricerca su libri, articoli, web e abbiamo costruito una prima macrostruttura.
Abbiamo stressato l’impalcatura testandola per definire le prime attività.
Abbiamo più volte corretto il tiro: rimodulando, parcellizzando e riaggregando.
Abbiamo simulato nuovi test per iterare e ripartire daccapo.
Tutto il materiale accantonato, perché meno focalizzato, è diventato strumento di scorta, pronto a essere recuperato.
Allora ecco le nostre prime 3 lezioni imparate.
1. I destinatari non si possono ignorare
Inizialmente il nostro lavoro era orientato ai designer (ci aspettavamo studenti esperti), ma abbiamo fatto marcia indietro quando abbiamo realizzato che l’impatto doveva essere sugli abitanti di Riesi e sulle persone del Servizio Cristiano (la struttura Valdese che ci ha ospitato).
Primo errore.
Poi al dunque la settimana di workshop è stata popolata da tutti studenti/designer.
Lezione imparata: se non puoi prevedere esattamente le persone con le quali lavorerai, esagerare nella produzione del materiale salva dal fallimento.
2. Canna da pesca o insegnare a pescare?
Inizialmente con Luisa ci eravamo date la sfida di introdurre le persone ai processi e agli strumenti del service design. Abbiamo discusso a lungo e siamo giunte alla conclusione che in una sola settimana e con un pubblico misto la sfida doveva essere un’altra: rendere le persone sicure e fiduciose nella loro capacità di risolvere problemi complessi (creative confidence). Tutti, ma proprio tutti, possono essere designer. Allora ecco che le soluzioni, in quanto tali, alla fine del percorso, diventavano meno importanti rispetto alla possibilità di idearle e raccontarle al mondo.
3. Immaginare mondi possibili
Abbiamo deciso di non utilizzare slide, ma di raccontare (esempi, storie, spiegazioni, articoli o brani da romanzi), di far agire in coppie, di giocare alternando momenti di confronto e riflessione collettiva. Il ritmo lo abbiamo stabilito sulla risposta del “campo” che rilevavamo via via. Da una struttura iniziale e molto materiale preparato in anticipo abbiamo costruito il percorso sulla risposta dell’aula. Ne è scaturito un percorso rovesciato, modulare, adattivo, dove gli unici punti fermi sono stati partenza e arrivo.
7 giorni 7 step
Il percorso è stato costruito su 7 step, uno dipendente dall’altro, che hanno condotto alla prototipazione e alla condivisione delle idee:
Giorno 1. È stato quello della conoscenza reciproca. Prima di partire per un viaggio impegnativo è necessario sapere su chi e cosa contare. Abbiamo giocato, ci siamo conosciuti attraverso le capacità e i talenti di ognuno. Abbiamo creato il “campo” e la fiducia reciproca per decollare.
Le nostre lavagne con Gino il Porcellino onnipresente
Giorno 2: Abbiamo iniziato raccogliendo il nostro conosciuto riguardo alla sfida (cosa sappiamo oggi?). Abbiamo sistematizzato fatti, ipotesi, preconcetti, tutto ciò che ritenevamo di sapere e che valeva la pena approfondire. Abbiamo visitato Riesi attraverso gli occhi di chi ci abita e abbiamo iniziato a scoprire elementi nuovi.
In maniera collaborativa abbiamo messo a sistema i dati e le informazioni per un primo sguardo d’insieme.
Giorno 3. Ogni micro team, formato in maniera ludica, ha stabilito la propria sfida (Come potremmo… per trasformare Riesi…) e tutti ci siamo “armati” per andare su campo. La giornata è stata dedicata ad affinare le tecniche di indagine per comprendere l’esperienza dei riesini sulle idee che stavano nascendo. È stato un allenamento durissimo ? con simulazioni, test e caccia agli errori. Cristina e Luisa si sono trasformate in aspiranti attrici per deliziare il loro divertito pubblico.
Giorno 4. Siamo andati in esplorazione. Abbiamo visitato il mercato di Riesi e messo in pratica interviste e osservazione etnografica. Ogni micro team con la propria sfida ha dimostrato che la ricerca su campo non si improvvisa, ma che, al bisogno, l’improvvisazione salva ogni situazione: tutti i partecipanti si sono dimostrati audaci ed eclettici (tenendo conto delle temperature ?)
Il pomeriggio ci ha fatto visita una super ospite, la famosa docente di storia dell’arte Emanuela Pulvirenti, che vive nel territorio e ce lo ha restituito attraverso un meraviglioso punto di vista. Ma abbiamo affrontato temi quali la capacità di individuare soluzioni dove gli altri abbandonerebbero o vedrebbero problemi insormontabili.
Giorno 5. Abbiamo iniziato ad ideare, a produrre tante, tantissime idee per poi filtrarle, mixarle, stressarle, ri-assembrarle, ancora e ancora. È stata una produzione intensa e ritmata da attività continue che hanno permesso ai partecipanti di arrivare alla “loro idea” convinti, forti e preparati per portarla all’estremo.
Giorno 6. È stata la giornata del fare. Le idee hanno preso forma attraverso i prototipi. Ogni micro team ha scelto il metodo di prototipazione più adatto all’idea e al team. Tutti hanno scelto di lavorare su modellini in 3D perché meglio si prestavano a rappresentare gli spazi di Riesi, le azioni degli abitanti e il valore da veicolare. Abbiamo lavorato tramite Business Origami con materiali poveri, tecnica e molta fantasia.
La forma delle nostre idee
ColoRiesi
Un processo per ricolorare le strade di Riesi, oggi monocromatiche, attraverso l’elezione di un colore annuale e una serie di attività che coinvolgono tutti i cittadini, grandi e piccoli, e culminano in un evento che fa letteralmente esplodere i colori ovunque (in Holi style).
Orto sportivo
Un progetto che porta micro orti urbani dentro Riesi coinvolgendo le generazioni per formare, coltivare e usufruire degli orti che sono sempre accompagnati da piccoli campi sportivi dove contaminare cultura green, incontro intergenerazionale, memoria e movimento.
Cantiere Carruba
All’interno di Civico Civico, l’edificio confiscato alla mafia e recuperato attraverso uno dei laboratori della Summer School è stato immaginato un servizio per lavorare e insegnare a lavorare la carruba. All’interno di un quadro di recupero della memoria, del ruolo femminile e dei prodotti locali meno conosciuti, viene creata una cooperativa e una produzione domestica di farine e biscotti da vendere omnichannel.
Allora ecco qualche riflessione a valle di questa esperienza.
Imparare a cavalcare l’onda
Personalmente non avevo mai condotto una docenza così immersiva e compatta (7 giorni di 10 ore al giorno di lavoro). Sia io che Luisa la abbiamo vissuta come una sfida in molti sensi:
- Per il lavoro in loco e per la preparazione maniacale ex ante.
- Per trovare un trait d’union di senso tra design di servizi e design di parole.
- Per l’incognita dell’evento a noi nuovo.
Non sapevamo cosa aspettarci dai partecipanti, ma abbiamo deciso di fidarci l’una dell’altra, degli organizzatori e di abbandonarci agli eventi (e non è stato facile per due persone come noi ?) insomma di cavalcare l’onda.
Godersi il viaggio e accogliere l’inaspettato
Luisa ed io non avevamo esperienze di questo tipo insieme. Siamo amiche, abbiamo imparato a collaborare da designer ed è stato fantastico. Come designer sono spesso focalizzata sul traguardo, con lei abbiamo stressato l’aspetto del viaggio: della riflessione, del godersi il tragitto, del prendere tempo e silenzio, dell’imparare da ogni stimolo. Questo ci ha permesso di arrivare tutti ai prototipi molto più solidi.
Abbiamo imparato che, dato il percorso, le tappe si possono costruire giorno dopo giorno (quanti debrief serali!), possono funzionare alla grande e questo è stato positivamente sorprendente.
Produrre, raffinare, produrre, e accantonare per l’inverno
L’abbondanza di materiali, esercizi, giochi, foto, letture ci ha permesso di rimodulare il viaggio via via, combinando e ri-combinando in maniera molto fluida. L’abbondanza, come sottolinea Luisa, permette di scegliere e se c’è scelta si può sempre procedere.
Oggi abbiamo strumenti e materiali che non ancora utilizzati: se qualcuno volesse sperimentarli insieme noi, ci siamo.
Olè fuori dalla comfort zone!
Fuori dalla nostra zonalo siamo state parecchio entrambe: per età (partecipanti giovanissimi), per storia personale, per approccio, ma lo sapevamo. Anche per questo abbiamo deciso di affondare il pedale dell’acceleratore. Non si può uscire dal selciato un pochino: o tutto o niente. Allora:
- zero slide (Aiuto! Riuscirò a fare vedere cose attraverso il suono e il significato delle sole parole?)
- niente materiali classici (no personas, no journey o stakeholder map, etc) ma solo strumenti creati ad hoc sulla realtà che stavamo affrontando
- no aule fisiche, no tavoli, no lavagne, volevamo che si immergessero nell’ambiente per il quale stavano progettando.
È stato difficile? Sì. È stato duro? Sì. È stato fantastico? Sì.
Quanto abbiamo imparato Luisa e io da questa esperienza? È incalcolabile, ora siamo consapevoli che possiamo rappresentare mondi possibili a chiunque in qualsiasi condizione.
Considerazioni finali
- I partecipanti al nostro laboratorio erano assolutamente perfetti.
- Sarebbe stato bello avere più persone di Riesi, ma pazienza.
- L’organizzazione globale ha funzionato alla grande e i Valdesi sono forti.
- Pia, Maurizio e Vincenzo (Lurt) ci hanno messo mente, cuore, e volontà aperti, anzi apertissimi.
- Abbiamo usato la metà del materiale preparato e pochi dei materiali a disposizione.
- Il ritmo è stato molto intenso, ma come “ladies” del corpo docente ci siamo difese.
- Il nostro duo deve imparare a prenderla ancora con più calma e ad avere fiducia nella capacità dell’improvvisazione creativa (ma studieremo a riguardo ? promettiamo).
Per conoscere l’intera esperienza della Summer School e gli altri laboratori potete esplorare: www.lurt.it