Disegnare male, disegnare tutti

Le mie opere artistiche

Ho sempre pensato che saper disegnare sia una meravigliosa risorsa. Quando vedi farlo, bene, dal vivo, sembra magia e, purtroppo, sembra facile.

Non sono brava a disegnare, ma in me batte un cuore da artista mai espresso, un po’ come quelli che si sentono Michail Baryšnikov senza coordinamento e talento per la danza. In una vita passata devo aver fatto qualcosa di brutto con il disegno e il risultato è la mia attuale incapacità, karma is a bitch, si sa.
Eppure non mi arrendo e vi propongo alcune riflessioni su letture recenti.

Pensieri ed emozioni

La capacità di rappresentare i concetti, le idee, i sistemi attraverso il disegno è uno dei pilastri del design. La complessità che pervade ogni progetto di tutti, designer o no, ci conduce spesso a impiegare tempo e risorse nel condividere i problemi da risolvere prima e le possibili soluzioni poi. Spieghiamo, rispieghiamo, ci accertiamo che vengano capiti e poi li scriviamo, li sintetizziamo in report, icone, grafici e molte parole.

Il design ci dice: fermati, togli, taglia. Elimina l’accessorio e vai al succo. Quel succo semplice e più intellegibile per tutti. Il design insegna allora a dire meno e disegnare di più.

Quando nei workshop, o nelle riunioni contemporanee, invitiamo le persone a disegnare il risultato oscilla tra il fastidio e il panico. “Non so disegnare… io non sono brava…. sono sempre stato scarso….mi sento tornato all’asilo…questo mi mette in difficoltà…” Una volta un partecipante ha esordito: “Ma questo che ci proponi è un trappolone…

È allora che stempero l’ambiente e rassicuro il mondo con le mie doti di mancato Picasso. Mi metto a disegnare per prima e mostro come l’incapacità si possa trasformare in leva collettiva. Le mie opere sono popolate di uomini e donne stecco, case sbilenche e smartphone abnormi.

Rassicurare e convincere

Le persone apprendono via via che il disegno, in questo frangente, è un mezzo che non pretende talento, ma solo chiarezza. Lo sketching, il bozzetto, costringe alla sintesi, al ragionamento, alla selezione. Ma anche al pensiero creativo, una rappresentazione diversa per apprendere.

Le persone vanno rassicurate sulle performance richieste e l’offerta di spazi ristretti come quelli di un post it aiuta. I noti foglietti adesivi hanno superfici di varie grandezze ma sempre delimitate e contenute, in grado di accogliere pochi elementi. Le persone sono invitate a concretizzare attraverso il disegno l’astrazione delle idee. Questa operazione permette di fare emergere concetti inespressi o invisibili alla persona stessa.
Facciamo un esempio. Spiegare il tone of voice di uno strumento può essere difficile. Con i rappresentanti interni si può allora lavorare su una concettualizzazione visiva del tono. Le persone possono essere invitate a disegnare:

  1. chi sta parlando quando accediamo allo strumento. Come è la persona che parla e racconta?
  2. quali oggetti rappresentano il servizio che offre? Quali cose e perché associ a questo strumento?
  3. rispetto agli altri canali di comunicazione come si pone questo strumento? Prova ad associarlo ad un oggetto in base alla sua importanza!

Ogni step risponde a temi consistenti attraverso pochi essenziali concetti rappresentati visivamente. Ogni partecipante al termine del tempo a disposizione, in genere 5 minuti, consegna il post it e lo spiega agli altri in maniera sintetica.

Le tecniche di visualizzazione velocizzano i tempi e possono ammorbidire ambienti irrigiditi dal contesto e dai modelli. Ma hanno un altro fattore formidabile: abbattono barriere

Che vergogna disegnare…

C’è un esperimento molto divertente che ogni tanto propongo durante seminari e convegni. Non è mio, ma di Bob McKim, professore emerito a Standford, poi replicato da Tim Brown, CEO di IDEO, durante il suo TED su creatività e gioco.

Nelle conferenze, come nelle aule universitarie, capita di sedere accanto a sconosciuti, immaginate di punto in bianco di chiedere alle persone di fare un ritratto a chi gli siede accanto.
Panico, difficoltà, imbarazzo. La prima reazione è di scuse riguardo le proprie capacità. Si è quasi sicuri di sedere accanto a novelli Leonardo e il risultato dell’esperimento è sempre un distillato di disagio, scomodità e molte “scusa”.
Perché tutti temiamo il giudizio degli altri.
La paura blocca e ci inchioda nella confort zone. Ma il nuovo non è mai nella zona di conforto dove idee straordinarie rischiano di spegnersi per timore e vergogna. Eppure lo stesso esperimento con i bambini sarebbe differente. Non esisterebbero i freni inibitori: disegnerebbero il compagno o la compagna senza battere ciglio. Allora cosa c’è di diverso?

Nella fase adulta perdiamo quella capacità di vedere tutto possibile e restiamo bloccati negli schemi sociali. La spensieratezza è uno degli atteggiamenti che apre al pensiero creativo, che rompe i vincoli per la trasformazione e apre ad nuova dimensione relazionale. È lì che le persone sentono di poter procedere fiduciose. Perché possono farlo. È questa la fiducia creativa (creative confidence), che accende e abbatte le barriere della paralisi ideativa per dare spazio al nuovo. Vanno, però, create, le condizioni per attivarla.

Allenare lo spirito e la mano

Un post delizioso di Samantha Dion Baker mi ha ispirato qualche suggerimento per allenare la creatività visiva. 

In Italia avviene ancora poco, (e qui mi rivolgo a tutti coloro che lavorano nei musei, perché basterebbe poco!) ma negli Stati Uniti è pratica diffusa fermarsi a disegnare nei musei. C’è chi porta sgabello e cavalletto e chi si siede per terra. Qualcuno è bravo, altri agli inizi, ma in molti ci cimentano nel fissare su carta quello che l’opera ispira e restituisce.

Tutti dovrebbero allenare le proprie capacità, in ogni modo e a ogni livello. Le figure possono diventare spazi, forme geometriche o persone-stecchino. Senza vergogna alcuna, ma liberi di esprimersi. Sarebbe fantastico essere guidati da facilitatori visivi che ci guidano nella rappresentazione di qualsiasi opera d’arte in forme semplici e inedite (Mona Lisa a stecchino? WOW!)

Questo tipo di attività avrebbe vantaggi superlativi:

Poi dall’opera d’arte al cappuccino il passo è breve: a quel punto tutto può essere schizzato: persone, azioni, cibi, emozioni che segnano giornate speciali o quotidiane.

I musei come palestre, luoghi per allenare creatività e libertà con attività che coinvolgano tutti: senior, teenager, famiglie, pazienti, bambini, fragili, speciali, giudicati da sempre incapaci come me :).
Unico requisito? Non sapere disegnare 🙂

Tutto questo per dire che buttare giù schizzi di idee e concetti può diventare uno straordinario strumento quotidiano. È necessario vincere qualche tabù e liberare qualche sovrastruttura per diventare tutti più leggeri e creativi.

Allora cosa pensavate di fare in queste vacanze natalizie? Tutti al museo, ma armati di quaderni e matite.



Allora qualche suggerimento

Io ho fatto il corso di Eva Lotta, adoro il suo tratto, mi sono applicata poco ma riprenderlo è uno dei buoni propositi dell’anno.

Poi ci sono i corsi di Sara Seravalle, facilitatrice visiva che porterebbe a disegnare anche le pietre dei giardini zen…

E i libri di Ellen Lupton da divorare con gli occhi

Un classicone evergreen The Back of the Napkin: Solving Problems and Selling Ideas with Pictures di Dan Roam

No. 28: Museum Sketchbook Pages di Samantha Dion Baker

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