
Le ecosystem map sono strumenti che aiutano a gestire la progettazione o redesign di servizi complessi attraverso una mappatura iniziale.
Queste mappe partono dai bisogni degli utilizzatori finali per coinvolgere tutti gli attori, per spaziare a tutto ciò che offre l’organizzazione per soddisfarli. È un fermo immagine del momento del servizio che permette, nelle fasi successive, di approfondire eventuali criticità magari attraverso le customer/user journey map.

Perché “ecosystem”?
Avremmo potuto chiamarla mappa di sistema o del servizio, ma è proprio qui la differenza. Il servizio in analisi non è analizzato come una sequenza lineare di azioni correlate, ma come un un “ecosistema”, ovvero un sistema vivo costruito su interazioni molteplici e non sempre logiche e lineari.
Come in ogni living system le relazioni che si generano sono interconnesse e in equilibrio tra di loro. Ogni scelta e ogni azione interviene sulla relazione tra brand e cliente (o tra organizzazione e utente) cambiando l’equilibrio in essere.
Ecco allora perché si utilizza il termine “ecosistema“: le ecosystem map, di fatto, rappresentano un microcosmo in un determinato stato, di crisi ma non solo, su cui si chiamati ad intervenire.
Cosa sono le ecosystem map?
Le ecosystem map rappresentano, a colpo d’occhio, la gamma di interazioni e i touchpoint che entrano nel ciclo di vita del cliente, che avviene allo stato del momento e con un livello di informazioni base. Malgrado la visione alta e poco dettagliata queste mappe sono fondamentali all’inizio del progetto per i seguenti motivi:
- allineano il team e i committenti sullo scenario, i problemi e gli obiettivi sui quali concentrarsi
- evidenziano le zone d’ombra che necessitano approfondimento
- permettono a tutti di entrare in sintonia con uno human centered approach: il servizio è inquadrato attraverso l’esperienza dell’utilizzatore finale per allargarsi via via a tutto il sistema (senza dimenticare chi quel servizio lo produce).
L’ecosystem mapping mette a sistema lo scenario esistente in maniera nettamente visiva, le mappe sono un prodotto collaborativo nelle quali è fondamentale la presenza del committente.
È proprio chi commissiona il progetto che traduce sulla mappa il bagaglio di conoscenza esplicita, i designer, quindi, innescano una riflessione più profonda che permetta l’emersione di dinamiche e correlazioni meno evidenti (conoscenza implicita).
A cosa servono
Le ecosystem map servono a rappresentare e a riflettere. Possono svelare aspetti del servizio nascosti, ma sono fondamentali nel gettare basi solide e condivise di un progetto. Tutti, infatti, hanno all’inizio la propria idea del progetto che, se non viene esplicitata e allineata, rischia di compromettere il successivo sforzo collettivo. Per questo motivo serve uno strumento con una vista alta e poco dettagliata del servizio.

Le ecosystem map non descrivono gli step del percorso-cliente come avviene nelle journey map, ma rappresentano la situazione nelle macro della relazione tra il cliente/utente e il brand. Tale visione sequenziale serve a organizzare cronologicamente l’esperienza delle persone senza il dettaglio di eventi specifici.
Ma utilizzare la mappatura di un servizio permette anche di:
- identificare nuove aree di opportunità
- analizzare i concorrenti in un’ottica customer centered
- supportare l’orchestrazione di servizi complessi.
Le ecosystem map sono utilizzate per mappare un servizio esistente, capire dove e cosa approfondire, ma possono essere anche utilizzate nella creazione di nuovi servizi. In quest’ultimo caso l’obiettivo sarà quello di costruire un prodotto totalmente human centered design partendo dai bisogni delle persone e immaginando via via persone, sistemi, canali, touchpoint in grado di soddisfarli.
Come costruire una ecosystem map
Vediamo gli elementi che costituiscono una ecosystem map passo per passo.
In primo luogo, una ecosystem map è strutturata come un insieme di anelli concentrici. Questa visualizzazione ad anelli la distingue dalle journey map rimarcando la complessità dei servizi contemporanei attraverso la circolarità. La sequenzialità delle azioni e il protagonismo del cliente\utente delle customer journey map qui lascia spazio ad architetture più curvilinee meno strutturate.
Bisogna prestare attenzione, però, perché la tentazione del dettaglio è sempre in agguato. Questo è uno degli aspetti più difficili da gestire con i partecipanti nei workshop di ecosystem mapping.
L’obiettivo infatti non è quello dell’esaustività, ma quello di generare confronto e discussione. Le ecosystem map, come le altre mappe, non sono documenti fine a sé stessi, ma strumenti di esplorazione e generazione.
Vediamo come viene costruita una ecosystem map.
La struttura
Le ecosystem sono mappe costruite su più anelli concentrici. Al centro c’è il cliente/utente con i suoi valori e le sue aspettative e poi via via il cerchio si allarga ai bisogni specifici, alle azioni, ai touchpoint, agli altri attori e alle fasi del servizio.
Analizzeremo gli anelli dall’esterno all’interno anche se nei workshop di mapping i partecipanti partono dal centro trovando le fasi già compilate.

Le fasi
L’anello più esterno è autoesplicativo: contiene le fasi di alto livello del servizio attraverso le quali le persone interagiscono. Le fasi devono essere necessariamente ampie e accoglienti, avremo tempo e modo di dettagliare tali scenari nelle customer journey map. Questa è l’unica area che possiamo prevedere in anticipo rispetto al workshop con i committenti, essa infatti diventa una sorta di binario sul quale muoversi più agevolmente durante la mappatura.
In pratica
Se prendiamo l’esempio dell’apertura di un nuovo conto bancario online le fasi potrebbero essere: orientamento, approfondimento, valutazione, apertura.

Se invece dovessimo mappare un servizio pubblico di screening di prevenzione al tumore al seno le fasi potrebbero essere: avviso, conferma, screening, comunicazione referto.
Gli attori
É l’anello dedicato a tutte le persone necessarie per assicurare il servizio. Sono quelle che oggi interagiscono con il cliente, che lo consigliano o hanno un qualche ruolo nelle azioni che mette in atto. Le persone possono essere il personale dell’organizzazione, ma anche tutti coloro che il protagonista ascolta e coinvolge nel processo.

In pratica
Nel caso dell’apertura del conto online gli attori chiave possono essere conoscenti e familiari a cui la persona si rivolge, ma anche i vari professionisti interni alla banca che interagiscono nelle fasi che precedono la decisione finale.
Nel caso dello screening sanitario le persone coinvolte saranno ad esempio infermieri, medici, addetto call center, familiari se accompagnano la persona a fare l’esame.
I touchpoint
I touchpoint sono i punti di contatto tra cliente-brand (o tra amministrazione e cittadino). Sono nell’anello successivo dove si esplorano i momenti e i mezzi in cui avviene il contatto.

I touchpoint possono essere di varia natura e nella mappa non sono collegati visivamente alle azioni. È importante trovare il giusto livello di dettaglio quando si riportano questi punti di contatto: “online”, “digitale” o “faccia a faccia” sono denominazioni troppo vaghe per essere utili mentre, “sito web pubblico”, “addetto allo sportello“, o “consulente online” sono più proficui ai fini della mappatura.
Possono essere classificati in maniera visivamente diversa i touchpoint obsoleti o esistenti, ma non più utilizzati. Lo stesso vale anche per quelli al momento inesistenti, ma previsti o richiesti dalle persone.
È possibile inoltre utilizzare icone predefinite che aiutino i partecipanti a elaborare la mappatura. Verranno predisposti cartoncini con i differenti touchpoint al lato della mappa che le persone decideranno dove e come posizionare.

In pratica
Tornando al nostro esempio del conto online i touchpoint potranno essere: sito web, call center, addetto allo sportello, familiari, etc.
Nel caso dello screening sanitario avremo come touchpoint: la posta tradizionale, il telefono, l’infermiera, la Asl, e così via.
Le azioni
Le azioni che le persone compiono per usufruire del servizio rappresentano l’anello successivo. Formulate in termini molto semplici e concreti (verbo + nome) descrivono le interazioni essenziali perché il servizio funzioni.
Come nei casi precedenti raccoglieremo le azioni inerenti quella specifica area, ma senza un ordine predefinito perché, lo ribadiamo, non è questo l’obiettivo.

Le azioni vanno identificate in modo agnostico all’interno di questo anello. Vengono anche elencate senza riferimento al touchpoint, per evitare di sovraccaricare la mappa con dettagli in questo momento non essenziali.
Come per gli altri anelli, le azioni sono supportate da informazioni interne all’organizzazione che attestino la veridicità dello scenario (es. le persone chiamano sempre il call center per chiedere...).
Qui non elenchiamo le azioni che il brand auspica dal cliente, ma quelle che fa a tutti gli effetti.
In pratica
Continuando con il nostro esempio del conto online le azioni saranno quelle di: cercare su web, confrontare le offerte, chiedere ad un familiare, telefonare al call center e così via.
Nel caso dello screening saranno: ricevere e leggere la lettera, chiamare la Asl, concordare appuntamento etc.
La persona e i suoi bisogni
Gli ultimi due anelli sono dedicati al protagonista: il cliente e ai suoi bisogni. Questi sono il fulcro della progettazione human centered e nella mappa sono posizionati al centro. Questa area è in realtà divisa in due sezioni: i bisogni e le aspettative. Le aspettative sono quelle che la persona auspica in generale, indipendentemente dalla fase in cui si trova, mentre i bisogni sono le molle che lo muovono all’azione di ogni singola fase.

In pratica
Se riprendiamo l’esempio dell’apertura del conto online possiamo identificare che il target (prospect under trenta) chiede informazioni semplici e di potervi accedere da qualsiasi device.
Nella fase di orientamento chiede un linguaggio naturale, mentre dopo l’apertura del conto il bisogno è quello di assistenza e presenza umana.
Nell’esempio dello screening le aspettative sono quelle di un’esperienza facile da gestire e tempi certi. Nella fase di informazione la persona chiede rassicurazione, nella fase del referto chiede un contatto umano e diretto.
Le sessioni di elaborazione
Che cosa serve per elaborare una ecosystem map?
In primis le ecosystem map sono il prodotto di uno sforzo collettivo, perchè un lavoro individuale a tavolino tradirebbe la sua funzione.
Quindi il primo step è quello di identificare il gruppo delle persone coinvolte a vario titolo nel servizio e invitarle a un workshop collaborativo che può andare dalle 3 alle 8 ore.

Nel workshop in presenza o in remoto si lavora su uno spazio condiviso come una lavagna fisica o digitale e una parete dove approntare il template disegnato o stampato (anche due fogli di carta in formato A3 fissati insieme se necessario).
Nel template riporteremo i nomi degli anelli e le fasi concordate precedentemente con il committente.
Ai partecipanti risponderanno via via ai differenti anelli su post it, fisici o digitali, individualmente i propri contributi. Utilizzare post it di colori diversi facilita la visualizzazione durante e dopo la sessione.

Via via che i partecipanti restituiscono i post it vengono posizionati nel template in corrispondenza delle aree clusterizzando i contenuti affini.
Completata la sessione la mappa viene analizzata, sintetizzata e restituita evidenziando le aree di approfondimento e di intervento nelle analisi successive. Anche in questo caso l’immediatezza del formato-poster aiuta il confronto tra i partecipanti.
Le ecosystem map sono uno strumento che, con costi e tempi contenuti, offrono informazioni preziose per le decisioni successive. Il valore però di questo strumento va ben oltre i risultati perché è nell’elaborazione stessa delle mappe che si mette in moto un processo di trasformazione interna che mette al centro le persone. Le ecosystem sono uno step di tale percorso, funzionali alle decisioni strategiche, da elaborare in maniera critica, nuova e condivisa.
Riferimenti
Ecosystem maps. Oblo
UX Diary #4 — Ecosystem Map. Bagatur
Using a Service Ecosystem to Quickly Grasp Complexity. Jesse Grimes