Gli esperti siamo noi: il valore delle persone nel design collaborativo

Nel design collaborativo il vero valore sono le persone e il loro modo di lavorare assieme nel rispetto reciproco. Le persone che vivono l’esperienza, o la realizzano, sono i veri esperti e sono coloro in grado di identificare i problemi da risolvere definendo le idee da far crescere.

Questo è un estratto dal mio libro Radical collaboration che mette l’accento sul valore che le persone sono in grado di veicolare nei progetti. Non importa se siamo clienti, utenti, designer, manager, produttori, fornitori, marketing o IT manager, tutti possiamo contribuire ad identificare i problemi, a definire gli obiettivi e trovare nuove soluzioni. Tutti possiamo essere designer, ma è necessario definire processi e modelli che mettano le persone in grado di contribuire al meglio.

Le persone sono un valore perché tutte concorrono ad alimentare un ecosistema

Quando le persone sono coinvolte direttamente nelle soluzioni sono naturalmente stimolate a difenderle e a farle crescere. Questo genera un senso profondo di responsabilizzazione nei confronti del progetto.

La conseguente soddisfazione che si genera da questo processo è un tema molto complesso ed è importante ricordare il ruolo delle emozioni nella progettazione di qualsiasi artefatto. Le persone vogliono essere ascoltate, coinvolte e percepite come esseri umani portatori di valore. 

Le persone sono un valore perché concorrono ad alimentare un ecosistema. Evidenziare questo valore e comprenderne il significato è compito del designer. 

Alla base del processo collaborativo c’è tecnica, ma anche e soprattutto la capacità di visione, senza quest’ultima manca infatti l’individuo come altro rispetto al ruolo che assume (cliente? utente? collega? fornitore? manager?).

I principi che definiscono tale visione valoriale sono i seguenti: 

  1.  empatia
  2. coinvolgimento
  3. visualizzazione
  4. concretezza
  5. trasformazione
  6. narrazione
  7. resilienza
  8. fallimento.

Empatia e coinvolgimento sono atteggiamenti necessari per predisporre la collaborazione

Empatia

L’empatia è alla base di tutto. La parola deriva dal greco “empatéia” composta da “en”, che significa dentro, e “pathos” ovvero sofferenza o sentimento, veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l’autore-cantore al suo pubblico. L’empatia è l’attitudine a offrire la propria attenzione ad un’altra persona, mettendo da parte le proprie emozioni e il proprio giudizio. La relazione si basa proprio sull’ascolto non valutativo e si concentra sulla comprensione dei sentimenti e i bisogni fondamentali dell’altro. La fase di empatizzazione è il lavoro che si conduce per capire le persone e il contesto del progetto. Si traduce nello sforzo di comprendere il modo di fare le cose e i perché, i bisogni fisici ed emotivi, come viene pensato il mondo e ciò che è per loro significativo.

I designer sono chiamati a progettare per scenari differenti spesso distanti: l’empatia aiuta a capire cosa conta veramente per queste persone così lontane. E lo si comprende attraverso le loro esperienze: con quello che fanno, e non quello che dicono di fare.

Con l’empatia si deduce il significato di quelle esperienze, si comprendono le motivazioni che le muovono ed si elaborano, alla fine, le intuizioni che permettono di innovare. Le soluzioni più efficaci nascono infatti dalle intuizioni sul comportamento umano, ma imparare a riconoscerle non è semplice.
È indispensabile vedere le cose con occhi nuovi, quelli delle persone per le quali si sta progettando, ed è l’empatia che fornisce questa nuova vista.
Comprendere le persone significa entrare nel loro sistema di valori, a volte sconosciuti alle persone stesse, e che possono manifestarsi proprio attraverso l’ascolto e lo scambio. 

Al design collaborativo serve un atteggiamento empatico dove si sospende ogni giudizio: quando si studia uno scenario o le persone di riferimento, fermare il flusso delle idee preconcette può risultare difficile, così come ascoltare e comprendere esigenze distanti, che possono provocare sentimenti complessi come noia, fastidio o rabbia.

Se si supera questo ostacolo, esercitando la capacità di rispecchiare la complessità dell’altro se ne comprendono le motivazioni profonde. L’empatia è una dote da acquisire e coltivare. La comprensione vera dell’esperienza altrui permette di fare innovazione e di trovare soluzioni su misura. Prima però è necessario abbattere le barriere personali, tramite l’ascolto profondo, l’uscita da sé e l’immersione nel mondo dell’altro.

Coinvolgimento

Il coinvolgimento è una conseguenza dell’assunto che tutti possono essere fautori attivi del cambiamento.

Tutti possono essere parte attiva del cambiamento

Anche chi è apparentemente più distante dal dominio in analisi può avere un ruolo importante, anzi, tra le peculiarità della collaborazione c’è proprio quella di coinvolgere gli utenti estremi, ovvero tutti coloro che sono distanti, consapevolmente o meno, dall’oggetto della progettazione. Coinvolgere queste persone significa accogliere inquadrature inaspettate: il pensiero divergente, in contrasto o estremo rispetto a quello più consolidato, permette di esplorare soluzioni che solo alcuni individui sono in grado di visualizzare, la nota “coda lunga” sottolineata da Chris Andersen, formata proprio dai consumatori di nicchia.

Visualizzazione

Le idee, le proposte, le soluzioni prendono vita in modo visivo all’interno del gruppo di lavoro. 

La visualizzazione allinea, sollecita e concretizza

Nelle sessioni partecipative il designer-facilitatore sintetizza visualmente gli elementi che emergono, in vari modi: attraverso la sintesi delle parole chiave, la rappresentazione dello sketching, le mappe concettuali, oggetti, colori o materiali. 

La visualizzazione dei concetti ha due obiettivi:

La visualizzazione permette di rendere concrete le idee abilitando tutti a parteciparvi scegliendo quali vale la pena far procedere.

Le persone possono rappresentare un mix di concretezza e visione

Concretezza

La concretezza si traduce nell’idea che prende forma. Se nella visualizzazione si rappresenta un concetto, qui l’idea prende vita fino a farsi oggetto. 

Nella collaborazione radicale l’astratto si fa tangibile perché solo attraverso questo passaggio se ne assicura funzionalità e fattibilità. 

Il potere del tangibile trasforma i partecipanti in creatori di artefatti attraverso mezzi semplici e universali come carta, colla, colori e post it.

Come nel caso della visualizzazione, la concretezza delle idee permette di valutarne meglio la fattibilità attraverso le risposte di chi vede, maneggia, testa l’oggetto della progettazione.

Trasformazione

È necessario essere pronti ad una trasformazione profonda e non solo degli attuali modelli. Se l’obiettivo è chiaro e condiviso, sono invece meno prevedibili i risultati che emergono via via. Il processo di trasformazione implica sempre un confronto con l’ignoto senza timore delle conseguenze, immaginando anzi che proprio da lì possano nascere nuove risposte.

Trasformare significa anche confrontarsi con l’ignoto e ci vuole coraggio

Trasformare significa pensare a qualcosa di diverso, ma prima ancora essere diversi. La trasformazione conduce a una visione prospettica costruita su domande positive che ispirano e alimentano ottimismo e fiducia: Cosa vogliamo essere? Cosa vogliamo festeggiare di qui a tre anni? Che cosa vogliamo che diventino le persone coinvolte oggi in questo processo?

Senza un po’ di coraggio e un pizzico di incoscienza non c’è trasformazione, e senza trasformazione non esiste innovazione.

Narrazione

La collaborazione implica trasparenza ed onestà nel percorso che si intraprende con le persone. La narrazione acquista allora un ruolo fondamentale per far capire loro cosa stanno affrontando e perché lo stanno facendo. 

Narrare significa ricapitolare a tutti, con una storia coerente e sensata il percorso fatto. Significa anche acquisire un linguaggio condiviso comprensibile arricchito da esempi, trasposizioni, semplificazioni, emozioni e chiamate all’azione. La narrazione permette il coinvolgimento e l’inclusione facendo sentire le persone protagoniste, momento dopo momento, pezzo dopo pezzo, via via che il progetto prende forma.

Resilienza

La collaborazione ha bisogno di adattamenti continui. Questa capacità di trasformazione rimanendo identica a sé stessa la rende resiliente.

I processi devono essere dinamici, scalabili e integrabili per diventare resilienti

Mentre gli obiettivi mantengono dritto il timone, le dinamiche di trasformazione messe in atto aprono possibilità adattive. Il processo è resiliente perché dinamico, ricomponibile, scalabile e sempre integrabile. I progetti all’insegna della collaborazione radicale hanno, insomma, una maggiore adattabilità ai contesti complessi.

Fallimento

Infine il fallimento, ultimo, ma non meno importante, come strumento per imparare: “Fail early to succeed sooner” è uno dei motti di Ideo, la nota società americana attuatrice del design thinking come metodo per l’innovazione: sbagliare rappresenta una tappa necessaria del percorso di creazione. 

Senza rischio non si innova, e l’errore va accolto per essere superato: “Non ho fallito, ho trovato diecimila nuovi aspetti che non funzionano” diceva Thomas Edison.

Al primo tentativo raramente si ha successo, l’importante è considerare l’errore una tappa fisiologica continuando a creare, testare, valutare, correggere imparare, fare, rifare e rifare ancora senza paura.

Sbagliare è un’opportunità per fare meglio la volta successiva.

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Questo è il design collaborativo che, nella radical collaboration, trova un processo operativo, l’approccio, i valori e tutti gli elementi portanti. È una chance per l’arricchimento di tutti.

Una volta scelta la collaborazione, va adottata in maniera dirimente e radicale, in modo onesto, trasparente e i risultati non potranno che essere positivi.

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