I workshop di design collaborativo mettono insieme due differenti ambiti: quelli del design sull’esperienza delle persone e quelli della facilitazione. Nel momento in cui ci sono 6, 20, 50 persone che simultaneamente collaborano insieme in una sessione di design è necessario prestare attenzione a moltissimi aspetti che ne permettano la riuscita.
Nel design collaborativo i gruppi chiamati a contribuire sono ecosistemi complessi che sviluppano dinamiche e variabili dipendenti da molteplici fattori:
- dall’ambiente a cui appartengono le persone
- dal vissuto che portano nell’aula (ad esempio un cambiamento organizzativo difficile)
- dalla motivazione che hanno riguardo alla sessione
- dagli obiettivi che si vogliono raggiungere tramite il workshop.
È dal mix di questi fattori che si individuano le attività più indicate ad animare i workshop di design collaborativo. Questo avviene nella fase iniziale di programmazione del percorso partecipativo. I fattori che abbiamo appena citato entrano però in gioco anche nella fase di gestione dei gruppi e delle attività.
Indipendentemente dal numero dei gruppi presenti in sala nel corso dell’attività ogni gruppo attraversa 5 stadi di operativi:
- inizio. Le persone si conoscono e si studiano rispetto agli obiettivi
- confronto. Le persone si confrontano e a volte si scontrano rispetto all’oggetto di analisi
- coesione. Le persone trovano un percorso comune risolvendo eventuali conflitti
- produzione. Le persone lavorano insieme in maniera collaborativa.
- conclusione. Le persone trovano una conclusione al proprio percorso elaborativo.
In ognuno di questi stadi fisiologici alla collaborazione possiamo avere situazioni diverse. Ci sono gruppi che collaborano fluidamente da subito attraversando la fase di confronto/conflitto in maniera naturale. Altri che passano immediatamente alla fase produttiva, altri infine che si bloccano non riuscendo a trasformare il confronto in collaborazione.
Nelle sessioni di design collaborativo i gruppi da facilitare possono essere numerosi (tranquilli ci saranno dei cofacilitatori), e il designer deve assicurarsi che tutti attraversino in maniera agile i vari stadi della collaborazione.
Nella mia personale esperienza ho visto che ci sono differenti tipi di interazione all’interno di ogni singolo gruppo collaborativo. Un gruppo può avere un andamento:
- Bum bum. Le persone da subito si concentrano su un’idea, si trovano d’accordo e tutte contribuiscono nel costruire la proposta che si arricchisce via via.
- A Panda 4×4. Le persone attraversano le fasi in maniera regolare senza scossoni e soluzioni impreviste o innovative
- A rilascio lento. Le persone iniziano con qualche incertezza, allungando la fase di confronto e poi hanno un’accelerata finale su soluzioni innovative.
- In stallo. Le persone si bloccano sull’individuazione di un percorso comune.
Il designer deve riuscire a frenare l’impennata del gruppo” bum bum”, controllare che il gruppo a “rilascio lento” non finisca in stallo, c’è un punto in cui la dinamica ha un punto di non ritorno, e aiutare il gruppo “in stallo” a risolverlo.
Come si gestisce la facilitazione di più gruppi in parallelo?
Ascoltando e soprattutto osservando le dinamiche e il linguaggio non verbale. Le posture che assumono i partecipanti e i materiali che producono via via ci permettono di capire da subito se il gruppo sta avanzando attraverso i vari stadi o se è in difficoltà.
Quando i fogli a disposizione del gruppo restano bianchi, quando le persone assumono certi atteggiamenti e determinate posture qualcosa non sta funzionando.
Quando ci sono partecipanti non appoggiati al tavolo di lavoro, che si dondolano sulla sedia o che hanno le mani dietro la nuca, che parlano ininterrottamente o chiusi in un ostinato in silenzio allora è necessario l’intervento del designer-facilitatore.
L’intervento, che permette di riconvogliare l’energia del gruppo nel flusso collaborativo, deve essere:
- chiaro
- veloce
- specifico.
Chiaro perché l’obiettivo consiste proprio nel semplificare un nodo complesso su cui si è bloccato il gruppo, veloce perché spesso bisogna intervenire su più gruppi e specifico perché il problema potrebbe essere inerente al gruppo e alle sue caratteristiche.
Il designer-facilitatore ascolta, lascia parlare senza interrompere e ridisegna il flusso operativo del gruppo attraverso domande e stimoli visivi per rimetterlo in moto.
Il compito, come designer collaborativi, è quello di attivare le persone senza influenzarle, senza suggerire percorsi o soluzioni, ma permettendo ai partecipanti di arrivare da soli ad un’idea condivisa.
E’ importante che il designer ricordi continuamente ai gruppi gli obiettivi della sessione e che cosa si aspira ad ottenere. Il designer-facilitatore disegna insieme ai partecipanti gli elementi suggeriti e permettendo di riflettere sul contributo di ognuno. Mostra i punti di contatto tra le differenti idee così da evidenziare eventuali percorsi comuni. Lascia fare a loro eventuali associazioni incoraggiando idee e soluzioni. E’ altresì fondamentale lasciare il tempo per valutare la reazione del gruppo facendo delle pause: il supporto del designer deve avere una funzione di sicurezza: a volte basta infatti la presenza del designer in silenzio accanto al gruppo per disinnescare il problema.
Il problema del gruppo può essere rappresentato da singoli partecipanti: accentratori, depressi, affaticati, sotto pressione o demotivati sono atteggiamenti da gestire con attenzione. Il designer sollecitare tutti a contribuire limitando i partecipanti troppo protagonisti, supportando i timidi e i silenziosi, cercando di comprendere le ragioni dei demotivati.
Volta per volta e caso per caso bisogna infatti valutare in prima persona i reali bisogni del gruppo e il tipo di supporto da mettere in atto a secondo delle situazioni, anche accettando la possibilità che ci possano essere gruppi che non funzioneranno mai.
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Ci vediamo a settembre con Radical Collaboration