Facilitare tra expertise e neutralità

progettare il ruolo da facilitatore

Capita spesso che mi chiedano: “Come fai a facilitare quando non sai nulla dell’argomento?” Ma mi è capitato anche la versione opposta: “Come riesci ad essere neutrale quando conosci a fondo i temi e criticità?

Affrontiamo insieme entrambe le situazioni: essere digiuni o essere espertissimi, dove al centro della questione regna indiscussa la neutralità.

Nel primo caso, non conoscere i temi mi consente di essere straordinariamente neutrale. Di contro, significa che potrei non riuscire a seguire sempre la discussione o perdere dettagli importanti.

Nel secondo caso, sfrutto il vantaggio di cogliere in maniera critica e profonda le complessità dell’argomento. Di contro, potrei essere tentata di esprimere di volta in volta la mia opinione. E peggio ancora, potrei guidare in modo, più o meno velato, verso le prospettive che sostengo.

C’è anche un terzo caso, meno frequente, ma diffuso tra i facilitatori e le facilitatrici, ovvero quando ho zero conoscenza sull’argomento, ma aspettavo quel tema, quel gruppo, quelle persone da una vita (mi è capitato e mi ritengo molto fortunata:).

Come mantenersi neutrali

Allora il tema è: come ci si mantiene neutrali davanti a qualcosa che non domino, ma posso studiare, domino perfettamente, o non domino minimamente, ma rappresenta la sfida per la quale avrei lavorato gratuitamente?

Vediamoli in pratica i 3 casi.

1. Quando sono totalmente digiuna dell’argomento

In realtà molti colleghi sostengono che sia meglio che il facilitatore/trice non conosca l’argomento, perché possa meglio concentrarsi sul processo e non sul contenuto.

Questo non esclude che mi prenda il tempo di leggere sull’argomento, mi faccia dare del materiale, in modo da cogliere in anticipo i concetti chiave e sciogliere gli acronimi.

Capita che possa porre domande anche ingenue al gruppo, o che ai partecipanti possano suonare strane: “Perché è così importante per te?” Oppure, “Cosa diresti a qualcuno come me che non sa nulla di questo argomento per giustificare la tua prospettiva?

Questo mi aiuta a collocare le differenti posizioni all’interno della sessione.

2. Quando conosco a fondo l’argomento

Idealmente, se domini l’argomento e hai interessi personali, a volte, è più proficuo fare un passo indietro e trovare qualcun altro nel gruppo che possa facilitare. Magari puoi supportarlo o guidare nei momenti in cui la tua obiettività non venga messa in discussione.

In genere prima dell’incontro, scrivo tutte le cose importanti per il gruppo, quelle che ritengo debbano sapere. Butto giù concetti chiave che cerco di integrare in ricerca.

Se lavoro con un’altra persona chiedo a questa di condividere i temi con il gruppo al momento opportuno. In genere può essere la persona che mi ha ingaggiato o un assistente con il/la quale mi allineo prima dell’incontro, stabilendo insieme quando e quali informazioni offrire. In questo modo, le informazioni vengono comunque fornite al gruppo, ma non provengono direttamente da me.

Se non individuo la persona adatta o non ho avuto il tempo di stilare l’elenco delle informazioni, preparo il terreno con il gruppo dicendo che ci saranno momenti in cui potrò condividere determinate informazioni sull’argomento. Quando arriva il momento, mi siedo e compio un gesto netto, ad esempio, mimo il cambio di cappello per indicare che il mio ruolo ora è quello di partecipante.

Quindi dichiaro: “Come partecipante vorrei offrire queste informazioni perché spero possano aiutare la discussione ad andare avanti”. Mi mantengo breve (2-3 minuti al massimo) con un tono più neutro possibile. Quando ho terminato, mi alzo e re-indosso il cappello da facilitatrice. “Ora sono tornata nel ruolo di facilitatrice e non offrirò altri elementi per il resto della discussione”.

3. Quando non so nulla dell’argomento ma non vedo l’ora di approfondire

È successo a tutti, è inutile negarlo. Essere contattati da quell’organizzazione che adorate su un tema che aspettavate da sempre, ma non avete mai avuto modo di approfondire.

Qui entra in gioco l’innerwork, la padronanza di sé, la conoscenza di se stessi come professionisti. Gli esperti consigliano di lavorare prima sulla passione personale perché non svii il processo con il gruppo.

Per aiutarsi è possibile scrivere le proprie riflessioni personali o confrontarsi con chi condivide la stessa passione per l’argomento. L’obiettivo consiste nel disinnescare il fermento interiore prima di misurarsi con il gruppo.

Quando mi trovo di fronte ai partecipanti, cerco, allora, di reprimere la tentazione di dire loro quanto ami l’argomento. Confesso che in passato mi sia sfuggito, ma bisogna pensare che, per le persone e ai fini del progetto, è irrilevante.

Allora mi ripeto che sono lì per aiutarli a pensare al meglio. Non riguarda me. Devo lasciare il mio ego e la mia passione fuori dalla porta. Questo non comporta mantenere espressioni innaturali o distaccate.

Conclusione

Per il resto bisogna avere il coraggio di buttarsi, sempre. L’importante è che argomento e organizzazione rientrino nel nostro perimetro etico.

La perfezione non esiste, mentre la possibilità di sperimentare e migliorare non ha valore.

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