Chi si aspetta la secret sauce delle personas rimarrà deluso, perché non esiste. Esiste il giusto mix, dosato bene, “shaked not stirred” direbbe James Bond. E poi quella capacità di vederle venire fuori e prendere vita dai risultati della ricerca.
Non ci credete? Leggete e sappiatemi dire?
Le personas sono i personaggi che elaboriamo come UX designer per sintetizzare la ricerca condotta con gli utenti finali. Questi archetipi servono principalmente per evidenziare i comportamenti che assumono le persone e i loro modelli mentali.
Quando elaboriamo le personas diamo vita a personaggi reali compilando tre differenti aree semantiche:
- le informazioni descrittive
- le informazioni comportamentali
- le informazioni di contesto.
Le informazioni descrittive sono tutte quelle informazioni che raccontano chi è e come è il personaggio: nome, tipologia, foto, età, professione, caratteristiche
Le informazioni comportamentali sono quelle che raccontano come si comporta la persona rispetto al servizio in analisi e non solo, le sue abitudini e i suoi modelli mentali.
Le informazioni di contesto sono informazioni più dettagliate che evidenziano alcuni aspetti della persona più legati al contesto d’uso del servizio.
Queste tre macroaree possono essere dosate e miscelate a seconda del tipo di progetto e costituiscono la struttura informativa più ricca e composita su cui costruire un personaggio. Oggi però sulla necessità di sussistenza di tutte e tre le aree i professionisti si dividono. Non tutti i gli UX designer sono concordi sulla indispensabile coesistenza delle varie sezioni, anzi c’è chi sostiene che alcune aree possano indebolire la credibilità delle altre.
Prima di addentrarci in questa spinosa foresta valutiamo insieme il seguente esempio nelle sue differenti declinazioni.
- Il caso di Adele
La mia vita non è stata affatto facile. Mia madre mi ha cresciuta da sola e io sono dovuta diventare responsabile presto: andavo a scuola, aiutavo a casa, mi cucinavo da sola e cercavo dei lavoretti per pagarmi una pizza o un’uscita con le amiche. Magra non sono stata mai e ogni difficoltà mi ha sempre portato a riversare sul cibo, il risultato era che più ero triste più mangiavo più ero triste.
Ad un certo punto qualcosa mi ha fatto dire basta e lì accanto a me c’era da sempre la mia amica Lalla che mi ha fatto capire che dovevo interrompere quella catena dolorosa. - Adele
23 anni
studentessa psicologia
Roma
altezza 1.63
peso 91 kg
Adele studia psicologia a Roma con profitto. È sempre stata un’ottima studentessa, ma il suo grande cruccio è sempre stato il peso. Da sempre impegnata in diete estenuanti non è mai riuscita a mantenere i chili persi. La sua famiglia è sempre stata attenta e partecipe rispetto alle sue difficoltà. - L’insicura
Adele, 23 anni, Roma
“Non mi manca la forza di volontà ma a volte scatta qualcosa…”
Per Adele il cibo è un modo per sfogare le sue ansie e le sue paure nei confronti della vita. Pur essendo una studentessa modello si sente spesso inadeguata, questa sua insicurezza è poi aggravata dal peso eccessivo che la fa sentire brutta e indesiderata.
Mangia per lenire il dolore che prova aumentandone le conseguenze che lo alimentano.
Adele è una ragazza intelligente e deve solo comprendere che da sola certe battaglie non si vincono, deve convincersi che ha bisogno di aiuto.
4. Una vita migliore
Come tutti vorrei un bel fisico, so che non potrò mai avere un corpo da modella ma mi accontenterei di fisico normale come quello delle mie amiche. Loro dicono che sono carina e i miei outfit sono fantastici ma non mi basta, non mi basta più. Mi sento come intrappolata in un corpo che non è il mio e voglio dare una svolta alla mia vita ma non so come. Penso di meritarmi una vita migliore…..
Questi sono 4 differenti modi di raccontare un personaggio, hanno differenti ingredienti a un indirizzo univoco. L’obiettivo primario è quello di mostrare i comportamenti e le attitudini di giovani donne in relazione al proprio corpo e al modo di alimentarsi.
Le personas e la ricerca sugli utenti servono a progettare e diffondere un programma di educazione alimentare e lotta all’obesità indirizzato alle fasce giovanili.
Il personaggio declinato attraverso varie modalità è una giovane donna che in alcuni casi presenta dati più dettagliati: età, residenza, la sua frase, una foto, in altri casi si narra solo in prima persona.
Ma quale è il metodo più efficace e quali sono gli elementi che fanno la differenza?
Dipende, le personas possono essere presentate in maniera più analitica e distaccata oppure possono essere più coinvolgenti ed emotive. Dipende dal progetto dal team e dalle inclinazioni dello UX designer.
Ma la secret sauce della personas sono quello che il personaggio fa: i suoi comportamenti sono infatti e un dato essenziale.
Deve emergere chiaro cosa fa o cosa cerca di fare la persona per raggiungere l’obiettivo prefissato dal progetto: nel nostro caso cosa fa Adele nella sua personale lotta all’obesità. Proviamo a rileggere le quattro storie in questa ottica e chiediamoci ai fini del suddetto obiettivo è importante conoscere il suo nome? È indispensabile sapere che ha 23 anni? Conta sapere che vive a Roma? O è più importante sapere perché e quando si abbuffa?
Forse, vorremmo conoscere i momenti della giornata in cui sente irrefrenabile il bisogno di mangiare. O ancora potremmo voler sapere cosa mette in pausa la sua ossessione, i momenti in cui si sente soddisfatta di sé stessa.
Abbiamo sottolineato il fatto che nelle personas è fondamentale raccontare cosa fa un protagonista e non cosa vorrebbe fare o gli piacerebbe fare. L’assenza si previsionalità nella descrizione dei profili è ciò che distingue la UX da altri approcci: la personas è la sintesi della ricerca, i dati descrivono cosa realmente accade nell’universo del singolo utente ascoltato o osservato.
Il “cosa vorrebbe” può provocare uno scollamento dalla situazione analizzata e pericolose derive nelle conseguenti soluzioni offerte.
L’assenza si previsionalità nella descrizione dei profili è ciò che distingue la UX da altri approcci
Questo passaggio chiave nell’elaborazione delle personas è spesso la chiave di volta per costruirle correttamente e soprattutto per farne comprendere l’essenza al committente.
Una delle maggiori difficoltà del cliente di fronte alle personas è capirne la natura: comprendere che non sono la rappresentazione completa e granulare del suo target di riferimento. Sono altro.
È molto difficile, se non introdotte adeguatamente, avere chiaro che le personas sintetizzano i possibili modelli comportamentali rispetto all’universo di analisi. Questa difficoltà si accentua quando si studiano ambienti chiusi come quelli aziendali dove ogni persona reale ha un ruolo:
“Hai rappresentato 3 profili delle business unit e 1 di staff ma mancano quelli international, legale, amministrativo….”
Ho sentito questa frase molto spesso come pure: “Sintetizzare la complessità dei nostri clienti in soli quattro profili mi sembra riduttivo … siamo sicuri che funzioni?”
Il primo messaggio che dobbiamo far passare è che la UX non ha come obiettivo quello di rappresentare tutti i clienti target, a quello ci pensano altri settori come il marketing, quello che cerca di evidenziare attraverso la ricerca sono i comportamenti delle persone, gli atteggiamenti e i modelli mentali.
Rappresentare uno o più atteggiamenti riguardo un servizio al cliente, che ingloba prodotti, brand, etc. non è facile quanto rappresentare dei dati concreti come ad esempio età, professione, capacità di spesa, etc. ed è per questo motivo che arricchiamo le nostre personas con questo tipo di informazioni.
Sintetizzare la complessità dei nostri clienti in soli quattro profili mi sembra riduttivo … siamo sicuri che funzioni?
Questa è la ragione per la quale alcuni UX designer come Indi Young invitano a utilizzare un altro termine al posto di personas che confonda di meno il cliente riguardo agli obiettivi del documento: rappresentazione comportamentale del target.
Susan Weinschenk utilizza “scienza del comportamento” per indicare quello che stiamo esplorando attraverso le personas.
Le informazioni demografiche, di localizzazione, foto, genere, vanno utilizzate per rendere più vividi i nostri personaggi, ma vanno scelte con criterio e con alcuni accorgimenti.
Prima di tutto non dimentichiamo mai che il focus delle personas è sul comportamento, dunque all’interno della scheda deve essere quello a guidare. Le parole che pronunciano le personas sono il prodotto della ricerca e la sintesi del modello che quel personaggio assume.
Le parole che pronunciano le personas sono il prodotto della ricerca
Quando indichiamo l’età di un personaggio inevitabilmente stiamo agendo sul pensiero automatico delle persone: se vi introduco Gabriella, pensionata, 70 anni, la vostra mente la collocherà immediatamente in una fascia a bassa cultura digitale, ma è sempre così?
Nella rappresentazione di un personaggio l’effetto mirroring o “pre-conceptual” che si ha su chi legge è molto forte: tutti siamo portati a pensare per schemi, riportando le situazioni esterne a qualcosa di conosciuto, ecco allora che una signora di 70 anni è automaticamente digitalmente poco alfabetizzata, un adolescente poco informato sui fatti del mondo, un uomo di 55 anni sedentario.
L’età, il sesso, la localizzazione geografica influenzano chi fruisce delle personas e sarà maggiormente portato a percepirne i limiti rappresentativi.
Possiamo introdurre Pietro, 30 anni impiegato e neopapà, oppure raccontare solo di un più generico “neopapà” che attraversa la fascia dai 30 ai 50 anni, esplorando l’atteggiamento e i pensieri di chi vive la prima volta questa esperienza.
Dunque è così importante parlare di età o forse possiamo insistere sulle “fasi della vita”?
Se affrontiamo un programma per l’attività motoria dei pensionati su quali leve insisteremo?
Possiamo raccontare Giacomo, 67 anni, ex insegnante oggi in pensione, oppure del “baby pensionato” e del “finalmente in pensione” senza che il lettore resti imbrigliato nella trappola del dato.
I dati geografici aiutano a contestualizzare la personas se non alimentano i preconcetti, termine che intendo in accezione neutra, valutiamo se collocare il nostro personaggio a Milano o a Palermo incide realmente sulla sua esperienza e se invece non rischi di essere il prodotto di nostre proiezioni.
Il pensionato di Palermo è veramente più pigro di quello di Milano? O gli vengono offerte solo minori opportunità?
Spesso le differenze di comportamentali a livello geografico nel nostro paese non sono così marcate da essere sempre indispensabili. Riflettiamoci.
La differenza di genere esiste, l’approccio ad un servizio, i modelli mentali di un uomo e di una donna possono risultare diversi, ma lo sono molto meno rispetto al passato.
Anche le foto come gli altri dati più concreti possono influenzare l’audience in qualche maniera: un’immagine troppo distante dall’oggetto, troppo bella, troppo curata, troppo brutta distoglie l’attenzione dal vero cuore della questione. Purtroppo si sa che la prima cosa che attira il cliente e le persone in generale sono proprio gli elementi visivi, gli aspetti grafici.
I volti su qualsiasi formato vengano presentati (carta, pagine web, video) è la prima cosa che vede l’occhio umano. È una questione primordiale scatenata dal cervello atavico (old brain), che ci ricorda che la prima cosa che vediamo alla nascita è un volto umano. Empatizzare su un volto ci viene naturale e spesso la nostra attenzione si fissa lì.
Tra gli elementi descrittivi c’è anche l’audience model: ovvero il gruppo di riferimento a cui il personaggio afferisce. In seguito alla ricerca sugli utenti abbiamo evidenziato alcuni gruppi in base ai comportamenti, ogni personas appartiene e rappresenta uno di questi gruppi.
L‘audience modeling agisce sugli approcci cognitivi delle persone: conoscere significa trovare una corretta collocazione all’informazione. La tipologia assegnata inserisce la persona in un universo di riferimento, che inevitabilmente influenza il pensiero riguardo quel dato. Quando noi ci riferiamo ad un profilo definendolo “il resistente” o “il lamentoso” o ancora la “fashionista” stiamo dando delle connotazioni molto forti che influenzeranno in maniera decisiva chi legge.
Definire un profilo “resistente”, “pigro” “fashionista” non sempre aiuta
Di contro stiamo affrescando il nostro personaggio in maniera più vivida ed efficace, è necessario però non forzare mano su questi dettagli, rischiando altrimenti di mettere troppa enfasi su un modo di essere e non un modo di fare. Ecco allora che accezioni forti come “il lamentoso” potrebbe diventare meno negative e più neutre se lo chiamate “il frustrato”.
Tutte queste informazioni servono spesso molto più al cliente che ai fini della ricerca, ma possono rivelarsi delle armi a doppio taglio. Da una parte i dati demografici, descrittivi e contestualizzanti aiutano il lettore ad empatizzare: un personaggio senza questi elementi presenta minore spessore, secondo Peter Merholz quasi non sarebbe più una “persona” ma un insieme di atteggiamenti con cui risulta difficile empatizzare.
Un personaggio senza sesso, né età non aiuta ad empatizzare
Su questo ultimo punto siamo tutti d’accordo: un personaggio senza sesso, età, professione o foto non fa scattare facilmente l’immedesimazione e dunque non sviluppa empatia.
L’empatia è la chiave per rendere vivi i personaggi che costruiamo, non solo audience model, ma persone a tutti gli effetti nelle quali diventa facile identificarsi e capirne le scelte. Coloro che maggiormente sostengono la necessità di questi aspetti, come Peter Merholz o John Wood, spiegano che inserire i dati descrittivi aiuta a contestualizzare il personaggio, dà maggiore profondità e fornisce un’inquadratura analitica ai comportamenti e alle abitudini.
In altre parole forniscono il contesto che permette al cliente di comprendere meglio.
L’empatia deve essere sviluppata altrimenti le personas avranno fallito il loro obiettivo di immedesimazione. Se dunque è difficile entrare in empatia con informazioni astratte si può comunque far funzionare il profilo attraverso il pensiero interiore, profondo e personale che fornisce prospettiva al carattere descritto.
Forse la secret sauce esiste ed è un mix di contesto ed empatia
Il contesto dettato dalle informazioni descrittive aiuta a superare l’impatto di generalizzazione toccando un tema caro allo user experience design: come persone siamo esseri complessi che nel corso del tempo assumiamo ruoli diversi: nessuno di noi è sempre la stessa persona, negli anni, nei mesi ma anche nel corso della stessa giornata.
Nessuno di noi è sempre la stessa persona. Siamo esseri unici e complessi
In quanto esseri umani siamo sempre diversi a seconda delle emozioni e dei fattori esterni, questo fa sì che la stessa identica esperienza può essere percepita in maniera diversa da due differenti persone e può essere vissuta in maniera diversa in due differenti momenti della propria esistenza.
Riuscire a fermare tale complessità come in una polaroid non è facile, perché questo sono le persone: la fotografia di un modello in una determinata fase della vita, una risposta diffusa sintetizzata in una forma univoca. Questo è possibile solo auto dichiarando i limiti che ci si impone attraverso i dati descrittivi.
Il resto lo lasciamo ai nostri personaggi che, forse non all’inizio, ma con il tempo e l’esperienza saranno loro a voler uscire e a dirvi come vogliono prendere vita.
A me succede un po’ così, leggendo i dati della ricerca li vedo uscire prendere forma e iniziare a raccontarsi….
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