
Breve, triste, storia di un regalo, di clienti innamorati, di promesse tradite e brand poco attenti.
No, tranquilli, il mio matrimonio è ok e il tradimento riguarda la mia esperienza da cliente di un noto brand cosmetico. Anche se negativa la storia mi ha permesso di riflettere su emozioni, aspettative e difficoltà nella gestione attenta dei clienti.
Negli scorsi giorni è stato il mio compleanno e ho ricevuto un regalo graditissimo: 60 minuti di consulenza di un makeup artist riconvertibile in prodotti. Ometterò il nome del brand di makeup che, come altri dopo la pandemia, ha puntato sulla consulenza dedicata alle clienti.
Per chi non masticasse troppo il tema si traduce in un incontro, virtuale o dal vivo, dove un esperto consiglia i prodotti più adatti a te e al tuo stile di vita.
La parola d’ordine è “dedicate a te e solo a te”, sessanta minuti in cui sei al centro e non un cliente qualunque. Il servizio poi è personalizzabile in base ai bisogni: vuoi imparare a truccarti? Non sa che colori scegliere per il tuo incarnato? Etc. etc.
Quando ho visto questa nuova possibilità ho subito pensato suonasse meraviglioso: il mio brand non mi vende solo mascara ma si prende cura di me: mi consiglia, mi insegna, mi guida così che io scelga solo i prodotti più adatti a me.
Era un po’ come se mi dicesse: “Non ti prometto ciglia più lunghe, ma di vivere un’esperienza dedicata solo alla tua persona, per me non sei un numero, una carta di credito, una conversione in più, tu conti, voglio conoscerti e instaurare un dialogo reale, un rapporto di fiducia perché tu come cliente mi scelga di nuovo”.
Ho pensato che l’industria del makeup era avanti. Rispetto, poi, al brand in questione, non avendo dubbi sulla qualità, i servizi di customer care attivati mi apparivano come la ciliegina sulla torta.
Come nelle migliori storie d’amore le prime disattenzioni si perdonano. Il mio customer journey ha inizio.
Scelgo lo store dove andare (silenzioso e tranquillo per godermi il momento) e il telefono risulta inesistente. Scrivo al servizio clienti su Instagram e mi viene dato il link alle prenotazioni online. Peccato che lo store non esista tra quelli proposti. Riscrivo e mi viene consigliato, in maniera piuttosto sbrigativa, di rivolgermi al call center.
La delusione cresce: non dovevano prendersi cura di me come cliente speciale?
Decido di passare allo store attraversando Roma. Una commessa molto gentile mi spiega che lo store non offre quel tipo di servizio.
La rabbia monta, mi sento tradita. Provo, allora, a prenotare un altro store attraverso il sistema online. Dallo smartphone mi offre alcune disponibilità, seleziono data e orario, il sistema va in loop. Provo allora da pc dove le disponibilità sono ancora diverse. La prenotazione va a buon fine, qualche ora dopo mi accorgo che anche quella dal telefono era stata registrata e finita nello spam.
Decido di andare all’appuntamento, ma la spinta emotiva è definitivamente tramontata.

Qualche riflessione su questa storia. Il makeup non è un bene essenziale, è fatto di prodotti voluttuari, che acquistiamo per piacere personale. Compriamo eyeliner, eye shadow e rossetti perché ci fanno stare bene. Il prezzo è relativo, assegniamo un valore in base a ciò che restituisce: il prodotto tiene di più durante il giorno? È naturale? È vegano? È la consolazione a una giornata no? È un premio per un lavoro bene fatto?
Ogni prodotto, qualunque esso sia, ha bisogno di essere immerso in un’esperienza più ampia per diventare desiderabile e acquisire valore. Dai servizi di assistenza post vendita alle attenzioni dell’unboxing tutto è customer caring.
Fidelizzazione o fiducia?
Quando promessa e servizio reale non coincidono è proprio il cliente fidelizzato che vive la delusione maggiore. Si vede esposto ad una risposta imprevista e accusa maggiormente il colpo.
Autoanalizzando il mio caso due sono apparse le questioni più critiche del customer journey:
- La scarsa autenticità, cura del cliente fittizia
Mi veniva promessa un’attenzione per la persona (non per il cliente!) che si è rivelata solo di forma: non basta mettere il mio nome nelle risposte automatiche o avvisare che la risposta la problema arriverà entro 5 giorni.
- L’orchestrazione debole dei touchpoint
I canali di contatto non risolvono il problema del cliente “scaricandolo” su un altro touchpoint che non risolve la criticità.
L’aspettativa iniziale ha concorso a sgretolare la personale esperienza come cliente. Per me, infatti, il valore risiedeva nel considerare il servizio un premio che non doveva richiedere sforzo.
Io rappresentavo un cliente fidelizzato al quale non era necessario rinnovare il patto di fiducia. La fedeltà resta tale nel tempo, mentre la fiducia va coltivata.
Come chiunque stavo attraversando i tre momenti chiave di un’esperienza cliente quello:
- vissuto in precedenza (ricordo)
- immaginato (aspettativa)
- reale (vissuto).
Dalla mia storia ho capito che non sono i singoli momenti che contano il passaggio e la proiezione tra uno e l’altro.
Ricordo
Ho sempre avuto un’ottima considerazione del brand di makeup tanto da farne il mio premio di lavori ben fatti
Aspettativa
Quando ho ricevuto il regalo pregustavo un momento per me
>>momento di transizione
Nella preparazione all’incontro reale le cose sono andate a rotoli
Vissuto reale
Vado all’incontro di consulenza in maniera delusa e svogliata.
Conseguenza
Non acquisterò prodotti se non per riscattare la cifra del regalo.
Le aziende sottovalutano i rischi di offrire servizi a corredo dei prodotti non all’altezza del prodotto e dell’esperienza che hanno vissuto le persone fino a quel momento.
Un buon servizio non scaturisce dal nome, dal rumore su Instagram o da consulenti preparati. Un buon servizio accompagna fluidamente il cliente a vivere l’esperienza positiva pregressa verso quella nuova senza nessuna enfasi. In assenza di tali presupposti è meglio rinunciare e continuare ad offrire prodotti e basta. Risulta più onesto e meno pericoloso per la customer satisfaction.
A volte è meglio un campioncino nella scatola che riceviamo a casa o un bigliettino scritto a mano che promettere corone da regine dimenticando il nostro nome di battesimo.
Basta poco, ma onesto, per farci felici come clienti.
Questo post inaugura una serie dedicata al design dei servizi e ai suoi strumenti.
Ci vediamo ai prossimi meno personali ma ugualmente sentiti ?
Per ingannare l’attesa puoi prendere qualche spunto qui:
Tutto lo straordinario delle esperienze ordinarie