
Incontro facilitato dalla sottoscritta, doveva essere una sessione facile, un team di persone con qualche difficoltà di comunicazione, ma assolutamente ben predisposto. Insomma un terreno fertile per un confronto onesto, generativo. Uno spazio dove le persone si sarebbero avvicinate con naturalezza, dialogando apertamente e depositando per un momento i loro ruoli formali. Avevo curato ogni dettaglio: l’allestimento della sala, l’attenzione al programma, la struttura di ogni attività.
Poi, la svolta inattesa: il top manager fino a 5 minuti prima impegnatissimo a sorvolare l’Europa si sarebbe unito a noi. Non con una semplice presenza, ma con un intervento di apertura, che, non solo avrebbe sottratto tempo alla mia agenda (pazienza!), ma avrebbe rappresentato quella sottile linea rossa tra 3 ore produttive e debacle senza appello.
Ho avuto la sensazione di un cambio repentino delle condizioni meteo, sprovvista di ombrello.
Come facilitatori/trici, raramente godiamo del lusso delle condizioni ideali. A volte, il potere entra in una stanza e ne altera l’atmosfera prima ancora che venga dato il benvenuto. Il cambiamento è spesso palpabile: un silenzio inedito, sguardi che cercano approvazione e conferme, una tensione improvvisa su chi debba prendere la parola.
Allora, come si tutela lo spazio quando il rango interviene inaspettato?
Questi sono alcuni suggerimenti appresi su campo quando la presenza di chi detiene il potere ha influito su attività e partecipanti.
Non sacrificare lo scopo sull’altare del potere
È sempre lusinghiera la presenza di ruolo di potere negli incontri programmati, significa che viene riconosciuto il nostro ruolo e l’azione automatica è quella di modificare l’agenda. Bisogna vincere questa tentazione per chiedersi: perché sono qui? qual è il vero obiettivo di questa sessione? Dare spazio al rango o al vero oggetto dell’incontro? Queste persone contribuiranno o comprometteranno il risultato?
A volte, un breve benvenuto o una riflessione concisa sono sufficienti. Bisogna resistere alla tentazione di eccessive concessioni se ciò significa sacrificare l’integrità dello spazio che abbiamo affidato.
Chiarisci le aspettative: con tatto e in anticipo
Se interviene un ruolo apicale si può chiedere al team o al referente se:
- sarà un discorso programmatico o di un semplice saluto
- il tempo che richiederà
- se di fermerà e con quale ruolo (ascoltatore o partecipante).
Si può chiedere in maniera gentile e ferma perché si sta proteggendo il flusso e definendo il tono. Un benvenuto di cinque minuti ha un impatto molto diverso da un discorso politico di venticinque.
Progetta con onestà e imparzialità
Consapevoli della presenza di una figura di spicco, è importante strutturare la sessione in modo da evitare dinamiche di disparità. Ci si puoi aiutare con una redistribuzione dei ranghi, ad esempio attraverso:
- discussioni in piccoli gruppi prima della condivisione plenaria
- contributi filtrati da post it o da votazioni anonime
- rotazione dei ruoli di leadership affinché non si senta un’unica voce.
Bisogna riflettere sul fatto che a volte i rappresentanti del potere hanno voglia di scendere e contribuire come gli altri. Ci si sente sollevati dall’essere trattati come individui.
Proteggi la sicurezza psicologica di tutti (anche di te stesso/a)
La gerarchia può generare ansia, specialmente per i partecipanti provenienti da contesti meno potenti o marginalizzati. Si può provare a esplicitare lo scopo dello spazio: “Questo è un ambiente di apprendimento, non di performance. Vogliamo incoraggiare l’autenticità, non la perfezione“. Il nostro ruolo ha il potere di dire ciò che gli altri temono di esprimere.
Rifletti con te stesso/a e con gli altri
Questo tipo di sessioni sono impegnative, bisogna concedersi il tempo per riflettere. Cosa è cambiato nell’atmosfera della stanza? Cosa si può fare di diverso la prossima volta? La presenza del rango ha arricchito o distorto i risultati? Ci sono partecipanti che si sono sentiti in difficoltà, hanno taciuto o sono stati ignorati?
Da queste riflessioni si può imparare molto.
Ridisegna l’energia dopo l’uscita
Il peso del potere non svanisce quando la persona si allontana, a volte la sua ombra continua ad aleggiare.
Come si riequilibrare allora l’ambiente? Si possono portare avanti alcune azioni:
- invitare i partecipanti a un breve giro di riflessioni personali. Questa attività ha il potere di decomprimere, buttare fuori e distendere l’atmosfera
- proporre un qualche esercizio di radicamento come una respirazione, una piccola attività fisica, un momento di silenzio per riconnettere il gruppo
- modificare il formato, ad esempio traferendo il lavoro in plenaria a discussioni in coppie o in triadi per ristabilire un senso di intimità
- riconoscere in maniera onesta e trasparente il cambiamento di assetto, ad esempio: “Dopo questo primo momento formale, torniamo all’energia aperta e collaborativa del nostro lavoro insieme“.
Questi piccoli gesti segnalano che lo spazio che diventa nuovamente “nostro” e che possiamo plasmarlo sugli obiettivi.
Facilitare all’ombra del potere non significa opporsi all’autorità, ma proteggere lo spazio. Il nostro compito come facilitatori/trici è quello di creare le condizioni affinché possano emergere visione, onestà e nuove possibilità.
Questo significa progettare per tutti, non solo per le persone che rappresentano un rango. Il potere può avvelenare l’atmosfera, ma è nostro compito aprire le finestre, risanare l’aria e riprendere il lavoro.