Il design è come la vita: questione di emozioni (feeling) ma soprattutto di balance, di equilibrio di pesi, di interessi, di valori. Spesso se qualcosa non funziona va cercato nella rottura di questo equilibrio trovando nuove forme di balance dove le emozioni trovano il loro spazio.
Quando ci avviciniamo ad un nuovo progetto, come designer, spesso entriamo in mondi nuovi, con regole proprie e determinati modelli.
Nella stragrande maggioranza dei casi veniamo chiamati perché c’è un problema che il brand chiede di risolvere. È da lì che dobbiamo necessariamente partire per comprendere il sistema nel quale stiamo per muoverci.
Come experience designer abbiamo però il dovere di non fermarci alla superficie, al problema prospettato, ma di andare oltre per esplorare in profondità. Questo necessario passaggio parte dall’oggetto iniziale, ma mette in atto un’indagine radiale che tocca ambiti, servizi e settori spesso poco prevedibile per chi ci ha ingaggiato. Questo è uno dei motivi per i quali è indispensabile introdurre fin dall’inizio in concetto di balance. Gli amanti della nostra lingua non me ne vorranno se ho scelto di mantenere il termine inglese, avrei potuto usare bilanciamento o equilibrio, ma balance ha quel vago sentore onomatopeico (o sarà la leggerezza del dittongo?) che permette di visualizzare lo sforzo di equilibrio a cui siamo chiamati.
Comprendere, scomporre, allineare
Il buon design è questione di balance, di equilibrio tra tanti fattori. Il cattivo funzionamento di uno di questi (es. un sito web, una documentazione contrattualistica, un sistema di inserimento di personale) è spesso solo il sintomo di un disallineamento delle sue parti. Come nell’osteopatia si lavora per un riallineamento o nelle medicine orientali dove l’obiettivo è ripristinare uno stato di quiete. Va individuato di nuovo il balance perduto.
Far capire questo a chi ci ha ingaggiato ci permette di comprendere meglio lo scenario e di scomporlo nei suoi vari componenti. Questi ultimi possono toccare ambiti e livelli molto diversi, nella caso di un portale web può trattarsi di aspetti interni come contenuti, linguaggio, servizi, elementi visivi ma anche di redazione, organizzazione, autonomia redazionale, capacità professionali, o esterne come modelli e comportamenti dei clienti, collegamento con gli altri touchpoint, l’offerta rispetto ai competitor, etc.
Il problema è nel disallineamento
La realtà è che il problema non risiede mai in uno solo di questi elementi e nemmeno in tutti insieme, ma nell’equilibrio interrotto o inesistente delle varie parti. È allora che scopriremo che il portale per cui siamo stati ingaggiati non è il vero problema del servizio, (o può essere migliorato con qualche accortezza), ma che la vera criticità risiede in un customer care poco efficace o in una redazione demotivata o priva di strumenti adeguati.
I brand spesso non hanno chiaro che un processo di human o experience design è un concerto che ha bisogno di più strumenti. È fondamentale che sappia fin dall’inizio che il processo di human centered design richiede coralità dove ogni strumento deve essere in equilibrio con gli altri. È sempre questione di balance, che va correttamente introdotta con l’obiettivo di alimentare la fiducia del cliente.
Spesso come designer interveniamo su precedenti azioni interne dove ogni team porta avanti i propri modelli a risoluzione del problema: si opera un restyling grafico, si punta al SEO e al web marketing, si rilasciano nuove funzionalità, siti dedicati, si progettano app per mobile e tablet. Si attiva quella che Brandon Schauer chiama il service anticipation gap, una valanga di attività che hanno come conseguenza solo quella di rendere il problema ancora meno visibile.
Nessuno si cura di capire il vero problema, nessuno mette tutti intorno ad un tavolo per ristabilire un nuovo equilibrio. La prima cosa da fare consiste, come nella medicina orientale, è alleviare il dolore e comprenderne l’origine reale. Nel design significa alleviare i pain point dell’esperienza delle persone siano esse esterne (clienti) che interne.
Questo processo non dà adito al nuovo ma a sistematizza l’esistente:
- stabilendo cosa è valore per le persone
- definendo i touchpoint in funzione del valore (valutando se il nostro è tra questi)
- rimuovendo ciò che non crea valore per tutti
- trasformandosi sul valore reale per fare funzionare meglio
- creando nuovi elementi per aumentare il valore
- costruendo canali migliori tra i touchpoint
- applicando regole comuni tra tutte le esperienze
- creando transizioni più efficaci tra canali e contesti d’uso
- rompendo i silos interni per collaborare a questo processo.
Il valore è nell’equilibrio
L’obiettivo è quello di ristabilire un equilibrio dove tutti possano dirsi felici, l’assenza di balance crea attrito ed è da queste frizioni che nasce la crisi e il malfunzionamento.
Il valore al centro dell’equilibrio da ripristinare deve essere distribuito equamente su 4 macro livelli:
Valore per il business. Ovvero aumentare le vendite, i clienti, la produttività
Valore per i clienti. Ovvero aumentare la soddisfazione e la fiducia, eliminare frustrazione e paura.
Valore per il personale. Ovvero vedere aumentate capacità professionali, retribuzione e soddisfazione personale
Valore sociale. Ovvero miglioramento della vita delle persone e dell’ambiente.
Come afferma Chris Risdon in Orchestrating experience l’equilibrio o lo squilibrio si analizza mappando tutti gli elementi che devono essere prima scomposti e poi ricomposta in una nuova forma. In qui questo nuovo stato l’origine del problema può non essere più il tema al centro ma solo una parte dolente di un organismo malato su cui intervenire altrove.
In questo approccio il mapping (experience, touchpoint, journey, opportunity map) sono il balance tool, lo strumento di diagnosi e soluzione. Le mappe sono un vero e proprio sensemaking, la chiave di lettura che ci permette di ristabilire l’equilibrio interrotto.