Per pensare in maniera diversa nella progettazione di strumenti e servizi è necessario agire da subito in modo differente, impostando un modello che renda tutti più forti e consapevoli del percorso da intraprendere.
Questo si traduce nel fatto che, se è un processo all’insegna del service design e del design thinking, anche gli step successivi alla presentazione del brief si modelleranno in una forma nuova rispetto al passato.
Il flusso del processo di design thinking è composto da 5 fasi sequenziali e interconnesse le une con le altre.
Ve ne propongo uno leggermente rivisto che aggiunge due step chiave che vanno a espandere i momenti iniziali e finali della sequenza attraverso due azioni importanti da mettere in atto: comprendi e condividi. Nella esperienza pratica mancavano questi due tasselli per dare spazio e potenza ad alcuni momenti. Vediamoli in pratica.
Comprendi
Significa iniziare ad orientarsi nel territorio in cui vi state addentrando. Cercare di comprendere le insidie, le aspettative, i desideri di chi vi sta coinvolgendo sono quegli aspetti che influiranno sulla strategia successiva. È qui che trasformiamo il brief in visione, obiettivi e sfida, che decidiamo chi e come coinvolgere tra le persone target. É qui che ci giochiamo tutto il nostro ruolo, che non agiamo secondo automatismi, regole e letteratura, ma interpretiamo la realtà per arrivare al meollo (al succo, fantastica espressione spagnola :).
È ancora qui che creiamo i legami forti, quelle connessioni di fiducia con i committenti interni che ci accompagneranno lungo tutto il tragitto.
È qui che iniziamo a disegnare il futuro che immaginiamo insieme.
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Lo step finale, il condividi, rappresenta quella necessaria impollinazione che richiede l’approccio. Ogni progetto all’insegna del coinvolgimento radicale deve essere alimentato durante e al suo compimento. I modi sono molti e svariati, ne parleremo in un prossimo post.
Torniamo all’argomento del post. Qui vedremo tutto quello che succede e che possiamo mettere in piedi nella primissima fase del progetto, quella del comprendi.
Primo di immergerci nella pratica, piccolo, fondamentale, inciso che ricapitola la differenza tra visione e obiettivo, troppo spesso pasticciate nel brief iniziale.
Visione e obiettivi, uniti ma molto diversi
La visione è l’idea generale a lungo termine del cambiamento che si desidera vedere nel mondo. È un concetto alto che contiene più aspetti al suo interno. La visione sottintende un anelito o una sollecitudine verso il cambiamento che, se incompiuti, possono dare adito a fraintendimenti e frizioni.
L’obiettivo è un elemento concreto e misurabile, raggiungibile in tempi certi, accompagnato da una valutazione d’impatto. Se la visione deve essere necessariamente unica e univoca, gli obiettivi per realizzarla possono essere molteplici, ma contenuti nel numero.
Gli obiettivi danno vita ad una serie di azioni che intervengono sul problema e fanno direttamente riferimento alla visione. C’è un’enorme differenza tra l’ampiezza e idealismo della visione e il posizionamento pratico degli obiettivi e delle azioni. L’obiettivo, o il problema da risolvere, è dove si restringe il raggio d’azione. È dove si crea l’inquadratura di quello che si intende realizzare nelle possibilità reali.
Vediamo un esempio pratico: l’azienda di trasporto pubblico di una grande città intende ripensare i propri servizi affrontare l’invecchiamento della popolazione.
Visione
Ripensare il servizio pubblico di mobilità per affrontare le nuove esigenze della popolazione over settanta.
Obiettivi
Identificare gli aspetti del servizio maggiormente critici per il target.
Analizzare il sistema di attesa alle fermate, comprendere l’utilizzo di strumenti digitali adatti alla popolazione coinvolta.
Valutare i sistemi di salita e permanenza a bordo in sicurezza.
La visione sottintende una aspettativa: permettere agli over settanta di muoversi, di restare attivi senza guidare l’auto. Gli obiettivi sono contenuti nella visione e aprono alle azioni.
Definire in maniera molto decisa e profonda visione e obiettivi del progetto permette di correre la gara in sicurezza escludendo il rischio fraintendimenti con i responsabili interni al progetto. I differenti step richiedono strumenti diversi. Una cosa resta tuttavia inamovibile: la necessità di contaminazione e collaborazione tra team di progetto, con minore conoscenza dei temi) e i profili interni esperti dell’ambito. La scelta su come operare dipende dal progetto, dall’audience, dall’expertise e dai tempi. La valutazione è strategica, se siete alle prime armi o con un committente poco avvezzo ai processi di problem setting collaborativo conviene partire dai fondamentali. Anche se, sperimentare l’interno processo, restituisce un valore assoluto.
Lavorare insieme per definire la rotta
Eccoci agli step pratici della fase COMPRENDI e, aggiungeremo, anche, ALLINEA.
La prima fase dei processi human centered design che comprende service, design thinking, e UX, sono connotati dal comprendete lo scenario e gli elementi che costituiscono l’essenza stessa del progetto. Fino a ieri partivamo con un solido assessment, qualche intervista interna, una democratica survey e un immancabile benchmark dei competitor. Cancellate tutto. O meglio, diamo per scontato che, come designer, certe cose le dobbiamo fare, ma come possiamo essere efficaci se non delimitiamo meglio il perimetro e blindiamo le evidenze in maniera condivisa?
Un benchmark diventa generico e inutile, una survey troppo ampia, un assessment energia che potrebbe essere meglio utilizzata. Quello che suggerisco è un’immersione collaborativa nella primissima fase per cementificare visione, sfida, obiettivi, strategia e azioni successive.
Questi, allora, gli step del COMPRENDI:
- SCARICA (lo so è bruttina come parola, ma ho scelto di mantenere l’italiano 🙂
- IMPARA
- SVELA
- FISSA.
SCARICA (riversa, butta giù, sgombra)
Il download scarica a terra tutto quello che sappiamo, dominiamo, supponiamo sull’argomento, accompagnato da tutto quello che, ancora, non sappiamo.
È un processo più naturale del classico assesment che invita le persone interne, insieme ai committenti, a esporre tutto il rilevante ai fini del progetto. Questo passaggio, se condotto in maniera partecipativa, ha tre vantaggi: sfrutta la conoscenza collettiva, porta a bordo da subito tutte le persone interessate, scolla il dato reale dalle ipotesi. Ovvero permette di evidenziare da subito cosa andare a esplorare successivamente con i clienti.
Al termine della sessione partecipativa elaboreremo alcuni passaggi di clustering e di sintesi che ci serviranno per gli incontri successivi.
È un’attività collaborativa, in presenza o in remoto, coadiuvata da un facilitatore che lancerà domande e sollecitazioni che attivino un quadro critico del perimetro.
Strumenti: mappa del conosciuto
Partecipanti: il team di progetto insieme al team interno committente
Durata consigliata: 2/3 ore per una o più sessioni da massimo 10 partecipanti.
Al termine stileremo un elenco di temi emersi che potranno essere discussi e integrati in un incontro finale. In alternativa possiamo condividere un prework con tutte le persone coinvolte che provvederanno ad integrarlo o a commentarlo. L’intento sarà sempre quello del “abbiamo scoperto, imparato, evidenziato” potenziale e mai perentorio.
IMPARA da tutto e da tutti
Immergersi nel servizio osservandolo nella realtà ha un valore assoluto. Possiamo condurre dei service safari, sperimentare il servizio in prima persona. Lo faremo alternando il ruolo di cliente con quello di ricercatore, motivo per il quale è sempre meglio condurlo in coppia.
Strumenti: piano di osservazione
Partecipanti: il team di progetto
Durata consigliata: Un service safari dura dalle 2 alle 4 ore a sessione e va progettato nel dettaglio (dove, come, cosa, eventuali permessi, guide, etc.).
Può essere condotta una o più sessioni in differenti momenti e condizioni.
Se questo non fosse attuabile possiamo ricostruire il servizio in sede, mappando insieme al team interno quella che oggi è l’esperienza del cliente finale (customer journey map as is) e/o mappare i touchpoint offerti dall’organizzazione. Il punto di forza di queste sessioni è in una ricostruzione critica dello status quo attraverso una presa di coscienza collettiva della situazione. La criticità a cui prestare attenzione è che il mapping viene condotto dalle persone stesse coinvolte nel servizio.
Strumenti: customer journey map, touchpoint map
Partecipanti: il team di progetto e il team committente interno
Durata consigliata: 3 ore per ogni sessione da massimo 10 partecipanti.
Al termine di questa fase avremo una serie di dati che asciugheremo attraverso un’attività di clustering e di classificazione. Il risultato sarà una lista di punti di forza e di debolezza che riporteremo nello step successivo.
SVELA l’evidente
Ma, soprattutto fai emergere il non detto, quello non evidente agli stessi committenti.
A valle della conoscenza generata dagli step precedenti è tempo di mettere insieme le cose e definire il reale perimetro del progetto. Insieme ai committenti, e questa volta è indispensabile che rivestano ruoli apicali o decisionali, definiremo la visione, gli obiettivi realizzabili e gli ostacoli che frenano l’azione.
La sessione di envisioning viene condotta in maniera collaborativa in presenza o in remoto. Nella forma classica presenta 5 aree:
- Chi siamo oggi
- Chi vogliamo essere (o cosa vogliamo diventino i nostri clienti)
- Cosa ostacola il percorso
- Cosa vogliamo festeggiare tra 3 anni.
Gli ingredienti ci sono tutti: la percezione identitaria dei partecipanti, la visione del futuro e i target che ci interessano, i timori e le preoccupazione rispetto alla trasformazione e i misuratori del cambiamento.
La mappa può essere arricchita da domande potenti supplementari che aiutano i partecipanti a immaginare ma, al contempo, li incollino a terra rispetto a quello che si vuole realizzare.
Altre domande possono essere lanciate al completamento della mappa: che cosa manca di cui sentite l’urgenza? Cosa ancora non è stato detto? Quale radice profonda nasconde il problema?
Al termine è possibile ripercorrere insieme ai partecipanti gli elementi chiave emersi e valutare il livello di consenso che conducono alla fase successiva.
Strumenti: envisioning map
Partecipanti: il team manageriale committente
Durata consigliata: 2 ore per ogni sessione da massimo 10 partecipanti.
FISSA e parti!
A questo punto la situazione appare più nitida e risulta più facile distillare gli obiettivi da raggiungere. Lo facciamo con il team di progetto che, a valle delle evidenze emerse, potrà metterle in ordine e assegnare loro un valore attraverso 3 domande-sonda:
Vogliamo (fare, progettare, abbattere, potenziare...)
Perché (motivazione profonda e radice del problema)
Per questo intendiamo (azione)
Costruiremo in maniera collaborativa tante frasi quante sono le evidenze dichiarate nella envisioning map.
Continuiamo con il nostro esempio:
1) Vogliamo costruire strumenti facili che gli over settanta possano consultare prima di recarsi alla fermata del mezzo perché l’attesa in strada è molto onerosa per loro e per questo valuteremo insieme se una app del telefono può risultare funzionale.
2) Vogliamo rendere più agevole il rinnovo della tessere e l’acquisto dei biglietti perché, oggi, risultano un freno all’utilizzo del mezzo pubblico. Per questo motivo esploreremo la possibilità di vendita e di acquisto in nuovi luoghi e attraverso nuove modalità.
Al termine della compilazione delle frasi chiavi che aprono percorsi di progettazione siamo pronti a stilare insieme la challenge di progetto. Utilizzando tutti gli elementi elencati racchiudiamo in una frase la sfida che unisce i team sotto un unico tetto invitandoli all’azione: congiunge, apre alle soluzioni condivise, è propositiva, è slancio e ottimismo allo stato puro.
È l’HOW MIGHT WE, come possiamo…
Come possiamo facilitare il viaggio degli over settanta nella fase precedente al viaggio stesso così da invogliarli e farli sentire sicuri?
La sfida apre alle successive fasi di progetto, quelle dell’esplorazione con i senior rispetto ai problemi e alle opportunità, quella dell’ideazione riguardo nuove soluzioni e quella della prototipazione e testing con loro delle prime soluzioni individuate.
La sfida rende chiaro anche chi coinvolgere tra i destinatari del progetto.
Ad esempio: dai dati emersi appare chiaro che ascolteremo, esploreremo e coinvolgeremo senior attivi che non hanno ancora l’abbonamento annuale al trasporto pubblico, ma che utilizzano tessere mensili e biglietti sporadici.
Strumenti: challenge questioning
Partecipanti: il team di progetto
Durata consigliata: 4 ore per ogni sessione da massimo 10 partecipanti.
Tutto l’elaborato di questa ultima fase diventa una restituzione aperta al team committente e ai manager che possono integrare e/o rifinire challenge e obiettivi.
Il percorso illustrato può essere collassato in due/tre giornate di lavoro dove alternare o fondere i team coinvolti. L’immersione, il confronto, il lavoro gomito a gomito si trasformano in consapevolezza e metabolizzazione della sfida che si affaccerà lentamente all’orizzonte.
A quel punto siamo tutti a bordo e diventa più facile spiegare le vele per mete ancora sconosciute.