Tutto lo straordinario delle esperienze ordinarie

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Nel 1999 Pine e Gilmore pubblicavano The experience economy. Per la prima volta si affacciava sui mercati il concetto di esperienza come parte dell’offerta di un’organizzazione. Dieci anni dopo Il Wall Street Journal affermava che solo la customer experience l’elemento sarebbe stata in grado di far sopravvivere o meno un’azienda sul mercato.
Questa è una piccola riflessione dopo la lettura di Experience Centric Organization di Simon Clatworthy, un testo sfidante, di cui mi sento di sposare in pieno le tesi e l’approccio.

Consegnare straordinarietà al quotidiano

Ci sono aziende come Starbucks o AirBnB che ne hanno fatto il proprio vantaggio competitivo rispetto agli infiniti competitor.

La differenza sta in due aspetti della loro offerta:

La restituzione consiste nello spostamento dal promising, la promessa che fa il brand ai propri clienti, alla restituzione di un qualcosa che va ben oltre il costo reale del prodotto. Starbucks offre caffè ai suoi clienti che sono pronti a pagare per altro: ambiente, spazio, rete, status, riconoscimento, etc. 

A Starbucks non facciamo business per le pance ma per nutrire le anime“. La frase di Howard Schultz, CEO di Starbucks, suona un po’ pretenziosa, ma è efficace per comprendere il processo messo in atto dal brand.

La straordinarietà dell’ordinario, definizione coniata da Mauricy Filho, spiega il potenziale che c’è in ogni esperienza quotidiana. Alloggiare in casa altrui non ha nulla di straordinario, ma lo diventa se viene offerta come un’immersione nello style life di un’altra cultura. Sentirsi a casa ovunque, ecco che l’esperienza diventa straordinaria.

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Per essere straordinarie le esperienze devono essere oltre l’ordinario delle aspettative. Devono avere un quid in più che non può essere frutto di creatività delle organizzazioni. Qui riposano in pace le grandi idee.

Il DNA esperenziale di un brand

Le organizzazioni esperienze centriche sono quelle che hanno fatto un vero e proprio salto in avanti rispetto alla centralità dei propri clienti. Sono quelle che nel tempo hanno iniziato ad esplorare in maniera profonda il proprio DNA esperienziale. Il DNA è la ragione d’essere di un brand e come quello umano un sistema composto da molti elementi: 

Tutti questi elementi insieme vanno a costruire il DNA esperienziale che permette all’organizzazione di restituire la straordinarietà di esperienze ordinarie.

Per arrivare ad uno stato completo e avanzato di servizi siffatti si attraversa vari stadi che rappresentano step necessari e fisiologici di trasformazione.

La customer centricity è solo il primo passo di una trasformazione più complessa delle organizzazioni

Gli step trasformativi dei brand

In principio il brand è customer oriented ovvero è in grado di raccogliere i feedback dei propri clienti e migliorare aspetti del servizio. Si traduce in un adattamento del prodotto ai bisogni delle persone.

Il secondo stadio è quello journey oriented, l’offerta aderisce ai differenti momenti in cui il cliente entra in contatto con il cliente. Qui appaiono canali e touchpoint attraverso i quali istaurare un dialogo generativo.

Il terzo stadio è quello del customer centric, l’azienda coinvolge e ascolta i propri clienti per offrire loro un servizio/prodotto in continua trasformazione sui bisogni e le aspettative rilevate.

Se la domanda chiave dello step customer oriented era “cosa vuoi” qui la richiesta è “dimmi di più su di te”. Le azioni messe in atto in questa fase sono più profonde e a lungo termine ma non stravolgono l’essenza dell’organizzazione.

Il quarto stadio è quello experience oriented: l’organizzazione inizia una trasformazione ancora più profonda, si ascoltano i clienti, se ne comprende l’esperienza oltre l’interazione con il prodotto, si iniziano ad allineare experience design e marketing su obiettivi comuni, si ri-allineano i processi organizzativi sull’esperienza che si vuole offrire. Qui l’obiettivo è: Come facciamo a trasformare i nostri servizi, i nostri processi e i nostri sistemi sull’esperienza finale che i nostri clienti chiedono?

L’ultimo stadio è quello dell’experience centric Organization, dove tutto converge in maniera fluida e armonica: esperienza del cliente e DNA del brand. Qui l’organizzazione ha metabolizzato il processo, ha diventata porosa, recettiva, veloce a capire, ad adattarsi e a trasformarsi. Lo fa senza frizioni e senza cambi di rotta repentini. Qui la domanda è: Come possiamo intervenire subito per sanare questo lieve disallienamento tra chi siamo, cosa offriamo e cosa dobbiamo essere?

Trasformarsi in una Experience Centric Organization

Quali sono allora le azioni che mettono in moto questo cambiamento nelle organizzazioni?

Prima di tutto essere volerlo ed essere coscienti che diventare experience centric organization non è semplice. La trasformazione tocca tutte le corde profonde di un brand, significa che può diventare necessario rileggere in maniera critica la propria identità presente e passata ed essere pronti a rivederla (the wise pivot) . 

AirBnB nel momento in cui si stava allontanando troppo dalla semplicità di uno scambio casa tra le persone è intervenuta puntando all’offerta di esperienze tra le persone. Il suo DNA è rimasto solido, ha dovuto solo correggere leggermente la rotta. Ogni minimo cambiamento ha bisogno di un processo di design che lo introduca all’interno del DNA del brand.

Le esperienze funzionano quando consegnano un di più, scatenano un wham bam wow che le rende mirabili tanto da andare oltre la mediocrità. 

Allora, come affermano Pine e Gilmore, la maturità di un’organizzazione si vede dalla sua capacita di mettere in atto delle esperienze (staging of experience) che sono sostenute da DNA di brand. Questo si traduce nel fatto che non è possibile progettare esperience per le persone ma è invece necessario progettare per le esperienze delle persone. Per fare questo è necessario comprendere il proprio DNA esperenziale e sviluppare azioni di:

Allineamento – tra chi si vuole essere e chi si è, ma anche tra l’offerta, i bisogni delle persone e i valori del momento storico.

L’aspettativa riguardo un processo risente dello spirito del tempo, del momento storico e dei valori contestuali.

Infusione – come un sacchetto di te in una tazza, i principi della experience centricity devono diffondersi e anche questo è un processo che va progettato.

Orchestrazione – significa far suonare all’unisono tutti gli strumenti di cui si serve l’organizzazione con il mondo esterno. E tutto questo non farlo un’unica volta ma farlo per sempre.

Rimozione  – una volta compreso ciò che frena il processo di trasformazione bisogna avere il coraggio di rimuoverlo: silos, interessi individuali, mentalità e rockstar, per lasciare spazio alla concertazione e la capacità di fare rete.

Cambiare per rimanere se stessi

Certe trasformazioni profonde hanno bisogno di una guida professionale.

Analizzare il proprio DNA e comprendere a fondo i propri clienti e la loro relazione con il momento storico non può essere fatto dall’interno o da soli. C’è bisogno di qualcuno che ci restituisca la nostra immagine allo specchio in maniera saggia, critica e di aiuti in quanto azienda ad accettare e rimuovere gli ostacoli strutturali che possediamo.
Per cambiare bisogna essere diversi, ma senza mai tradire l’essenza più profonda di quello che il nostro brand è.

Riferimenti e persone

L’economia delle esperienze. Oltre il servizio. Joseph B. Pine James H. Gilmore

Experience Centric Organization Simon Clatworth

Mauricy Filho

Customer Experience Is the Key Competitive Differentiator in the Digital Age. Irving Wladawsky-Berger

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