Qualche giorno fa un caro amico designer, Maurizio Schifano, mi ha segnalato un bellissimo lavoro di Kat Holmes per Microsoft sul design inclusivo: Inclusive: A Design Toolkit.
La progettazione accessibile a tutti è un tema a me caro e mi sono permessa di raccontarlo con alcune riflessioni personali.
Il kit e il suo approccio pur avendo qualche anno resta, come scrive Fast Company, “a radical evolution of design thinking”. Kat spiega che, come designer, spesso progettiamo sul nostro bagaglio esperenziale, e che, anche quando nel migliori dei casi, facciamo ricerca sulle persone, non sempre raggiungiamo l’obiettivo di un design efficace dal punto di vista inclusivo e pervasivo. In altre parole si lasciamo fuori persone, tante o poche dipende solo dal caso.
Questo avviene perché se non siamo chiamati a progettare specificatamente per la disabilità tendiamo a metterla da parte. Ma anche perché spesso si ha un concetto molto astratto della disabilità, poco realistico e contestuale. Eppure nei nostri potenziali mercati da 7,4 miliardi di persone le persone con difficoltà presentano numeri consistenti.
La disabilità non è sempre una condizione definitiva
Oggi i nostri prodotti, spiega Kat, dipendono sempre di più da interazioni che coinvolgono i sensi: vedere, ascoltare, dire, toccare, indossare, muoversi. Nella progettazione si dà spesso per scontato che tutti questi sensi siano sempre al top delle potenzialità.
Quando si fa questo non si tiene conto del contesto e della vita umana. Le persone infatti non sono sempre uguali nel corso della vita, la disabilità viene infatti considerata sempre come una condizione definitiva, ma non è così.
Se osserviamo meglio, in maniera empatica e profonda, vediamo come tutti noi abbiamo o abbiamo avuto momenti di difficoltà temporanea, più o meno lunghi oppure complicazioni contestuali: un’otite, una faringite, la rottura di un arto o un colpo della strega ci hanno impedito di essere perfettamente performanti. Ma ci sono situazioni legate al contesto come un lavoro che tiene le mani impegnate (es. cuoco), che necessita di cuffie per lavorare (addetti in aeroporto), difficoltà di movimento per una gravidanza o per portare bebè in braccio che magari deve essere cambiato.
L’esclusione può essere temporanea
Anche il pregiudizio o il contesto influiscono sul modo in cui le persone interagiscono con il mondo che li circonda, anche se solo per brevi periodi. Si pensi a situazioni in cui ci si trovi a dover guardare una luce intensa, a indossare un casco o a ordinare una cena in un paese straniero.
A volte l’esclusione è situazionale
Le persone si muovono in contesti diversi e le loro abilità possono anche cambiare drasticamente. In una folla rumorosa, non riescono a sentire bene (e io ne so qualcosa :). Alla guida notturna dell’auto tutti sono più o meno ipovedenti. Si pensi alle neo-mamme che allattano e hanno una sola mano per fare le cose. Una giornata travolgente, un concerto superlativo possono causare un sovraccarico sensoriale ed emotivo.
Ciò che appare ora possibile, sicuro e appropriato è in realtà variabile, transitorio e in continua evoluzione.
Il design inclusivo, spiegato da Kat, significa progettare esperienze partendo proprio dai limiti e dagli ostacoli che ne impedirebbero la fruizione. Prima di tutto imparare dalla diversità perché gli esseri umani sono i veri esperti nell’adattarsi alla diversità.
Il design inclusivo mette le persone al centro fin dall’inizio del processo. Sono necessarie prospettive nuove per farlo funzionare. Gli esseri umani hanno capacità sorprendenti di adattamento a situazioni diverse e comprendere questi aggiustamenti è la chiave per un nuovo modo di fare design.
Quando le esperienze non sono allineate ai bisogni delle persone, le persone si adattano. A volte in modi sorprendenti che i designer non direbbero mai. Possiamo provare ad immaginare come una persona con un determinato insieme di abilità vivrebbe un’esperienza, ma non possiamo immaginare il contesto emotivo, ciò che dà loro gioia o li frustra. Le opportunità e le soluzioni arrivano quando si comprendono questi adattamenti.
Risolvi per uno, estendi a molti. Significa concentrarsi su ciò che è universalmente importante per tutti gli esseri umani guardando e sperimentando il mondo che le persone realmente vivono.
La bellezza dei vincoli
Progettare per persone con disabilità permanenti è un limite significativo, ma il risultato finale viene beneficiato da un numero molto più alto di persone.
Questo vale per un buon sistema di wayfinding all’interno di una stazione, per i segnali di allarme non solo acustici, ma anche per telecomandi, gli apriporta automatici, gli audiolibri, e-mail e molto altro.
Progettare con i vincoli in testa significa progettare bene.
Capire e sperimentare le situazioni di limite, esclusione e difficoltà in maniera empatica e concreto è il primo step del design inclusivo.
Benefici per tutti
Quando progettiamo per persone con una difficoltà permanente progettiamo anche per chi vive una limitazione situazionale. Un design inclusivo è un design accogliente che attraverso processi di ricerca e di immersione empatica permettono:
- Un aumento degli accessi
- Una riduzione degli attriti
- Un’esperienza più empatica
- Un sicuro ritorno di immagine (per il brand che lo mette in atto).
Kat conclude così:
L’impatto del design inclusivo è molto di più dei prodotti che le persone utilizzano. È un cambiamento di mentalità, nei metodi e nei comportamenti.
Ciò che progettiamo è il sotto insieme del “come progettiamo”.
Misurare i benefici include misurare il cambiamento nella nostra cultura e in noi stessi.
Personalmente non potrei essere più d’accordo.
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Download gratuito: Inclusive: A Design Toolkit
Tutto su Kat Holms https://katholmesdesign.com/