
Innovare oggi significa ripensare i processi alimentando il pensiero collettivo. Il panno Swiffer è nato così….
Tutti noi experience designer prima o dopo ci siamo trovati a confrontarci con il Design Thinking. Se si parla di esperienza, di bisogni reali e di innovazione allora misurarsi con questo approccio diventa quasi inevitabile.
Fare innovazione per le aziende è oggi l’unico modo di sopravvivere nel mercato globale. Questo è un concetto assodato e chiaro a tutti, quello che è meno acquisito è che cosa si intende per innovazione e soprattutto su quali basi poggia.
Siamo tutti creativi
Nell’immaginario collettivo e, purtroppo ancora diffuso, innovazione è sinonimo di big idea. L’idea geniale che scaturisce da un bisogno e che quel bisogno alimenta resta un leitmotiv ricorrente all’interno delle aziende. Come anche resta fermo il concetto dell’ideatore della big idea, il designer, una sorta di deus ex machina in grado di portare l’impresa fuori dallo stallo grazie all’idea vincente sul mercato.
È finita l’era della Big Idea, le aziende devono farsene una ragione.
Oggi non è così: non esistono idee geniali, di Steve Jobs ne nasce uno su milioni e la vostra azienda può avere concorrenti da ogni parte del mondo.
E allora come riuscire ad essere innovativi?
Come sopravvivere senza chiamarsi Gates o Zuckerberg? Spostando il focus dell’innovare dall’output finale, prodotto o servizio che sia, al processo che conduce ad esso.
Può sembrare banale, ma il segreto per fare vera innovazione è proprio questo: non esiste il mito di Mosé = l’uomo unico al comando in grado si portare tutti in salvo, ma le nuove soluzioni avvengono tramite un cambiamento collettivo di approccio che permette il nascere di idee che funzionano.
Nel design thinking tutti sono designer, chiunque, se guidato, può fare innovazione.
Tutto qui? Sì tutto qui, ma serve la secret sauce, l’ingrediente segreto è il metodo, uno di questi consiste nel design thinking.
Il design thinking è “fare e imparare”
Il design thinking non è un metodo nuovo, già nei primi del novecento si sono gettate le basi di quel “learning by doing” di montessoriana memoria. Se si osserva attentamente la realtà uscendo dalla propria confort zone (leggi ufficio-scrivania, stabilimento-produzione) e condividendo idee e bisogni si può aspirare a nuove soluzioni.
Workshop di design thinking in cui si fa innovazione insieme alle persone di riferimento
Il design thinking esplora le dimensioni strategiche in cui il prodotto si colloca e utilizza strumenti e tecniche che integrano la parte destra del cervello: immaginazione, creatività e intuizione con la logica, la parte sinistra del cervello: analisi e pianificazione.
I metodi che aiutano a pensare come un designer includono l’osservazione, le interviste, la creazione di personaggi, le empathy map, gli storyboard, il pensiero associativo, la creazione di prototipi a basso contenuto tecnologico, e l’analisi decisionale.
In altre parole, il design diventa un processo trasversale che sfrutta gli entrambi emisferi cerebrali, puntando a:
- sviluppare la mentalità, le qualifiche, e un set di strumenti a cavallo tra designer, artisti, e innovatori
- creare canali concreti con i clienti per scoprire le opportunità per l’innovazione
- superare le barriere che bloccano idee e innovazione
- sperimentare la generazione nuove di idee attraverso il pensiero critico, tecniche
- pratiche, problem-solving e prototipazione rapida
- promuovere una cultura che esalta la creatività e l’innovazione
- impollinare, generare idee per seminare e coltivare un ecosistema interno di innovazione.
Pensare e progettare insieme
Il design thinking coniato nel 1990 da David Kelley e Tim Brown di IDEO è un approccio che studia e analizza i problemi per intervenire sui processi che li influenzano rimuovendo gli ostacoli e individuando nuove opportunità di miglioramento.
Le caratteristiche chiave del design thinking sono due:
- mettere da parte l’idea di soluzione per concentrarsi sull’analisi dei problemi
- coinvolgere tutte le persone interessate a vario titolo al problema per inquadrare il tema da varie angolazioni, senza preconcetti e sviluppando empatia.
La soluzione, o big idea, è solo l’ultimo step di un processo generativo che per prima cosa cerca di analizzare la tipologia di problema: è risolvibile (tame) o è qualcosa al di fuori del nostro controllo (wicked)? Quali sono i blocchi che ne impediscono la soluzione?
Prima di tutto bisogna chiedersi è un tame problem o è un wicked problem?
Attraverso l’individuazione dei nodi si dipana il processo che porta all’identificazione delle soluzioni, a validarne l’efficacia e quindi a fare innovazione.
Dall’incertezza all’innovazione: il processo del design thinking
Il design thinking una volta individuato il problema chiave mette in atto un mix di tecniche scientifiche in combinazione con metodi creativi, la scelta avviene in base alla tipologia di progetto e di attori in ballo.
Questa è la strategia che si stabilisce all’inizio del progetto e che definisce come procedere insieme al team.
Le fasi del design thinking
Le fasi definite dal design thinking possono variare tra esperto ed esperto, ma nella sostanza si realizzano in tre momenti:
- capire
- fare
- provare.
A queste 3 fasi fondamentali corrispondono vari step di sviluppo:
- analisi
- definizione
- ideazione
- prototipazione
- testing
- implementazione.
1) una fase di analisi che esplora la situazione: i limiti, le difficoltà, le persone. C’è chi la chiama fase di empatizzazione, di immersione nel contesto di riferimento, chi lo chiama il What is, ma la sostanza non cambia: il tema è quello di comprendere a fondo l’ambiente, le persone, i contesti nei quali siete chiamati a trovare delle soluzioni
2) una fase di definizione del problema, il Define di Ideo, ma anche l’esplorazione di tutte le situazioni alternative al problema, il WHAT IF di Darden School dell’Università di Virginia.
Il processo di design thinking secondo Jeanne M. Liedtka, Strategy Professor – Darden School UVA
3) una fase di ideazione, dove vengono raccolte e raffinate le idee (WHAT IS WOW), nessuna viene scartata ma anzi viene incentivata un’elaborazione consistente di soluzioni. Si tratta in genere di workshop guidati in cui i partecipanti sono chiamati a rispondere a domande e sollecitazioni con l’obiettivo di produrre, raggruppare e raffinare possibili soluzioni.
Il tutto avviene in maniera condivisa e collaborativa, ma non si stacca mai dal reale: già in questa fase le idee emerse più interessanti vengono sottoposte ad un’analisi che ne verifichi la fattibilità e il reale vantaggio competitivo.
4) una fase di prototipazione: le idee prendono forma attraverso la costruzione di prototipi. L’obiettivo di questa fase è quello di capire quali componenti delle idee funzionano e quali no.
5) una fase di testing: in questa fase si prova l’efficacia delle idee attraverso il feedback delle persone coinvolte. Queste due ultime fasi sono quelle che Jeanne M. Liedtka chiama COSA FUNZIONA.
6) una fase di implementazione: una volta materializzate e testate le vostre idee vanno migliorate e testate di nuovo se necessario, solo così sarete sicuri del risultati.
Il design thinking è una scommessa
Tutto questo spaventa per l’impegno che richiede? In realtà l’approccio del design thinking non richiede più tempo di una progettazione di tipo tradizionale, lavorando in maniera condivisa ed eliminando i tempi di approvazione il design thinking permette spesso un andamento più fluido e controllato da parte del cliente.
Si può fare innovazione senza design thinking? Certamente, ma rischiamo di perdere per strada alcuni tra gli indirizzi chiave dei processi di progettazione più innovativi:
- un approccio e un processo centrato sull’utente che inizia con la ricerca sulle persone, crea artefatti (qualsiasi cosa stiate progettando) sulla base delle esigenze di queste ultime, che poi testa con utenti reali.
- un metodo che sfrutta l’esperienza collettiva e stabilisce un linguaggio condiviso con il tema e con i committenti
- un percorso che incoraggia l’innovazione, esplorando molteplici strade per lo stesso problema.
Gli imprenditori, gli startupper e i designer devono avere chiaro che l’innovazione non è più figlia di un buon design, né l’assoluzione di un bisogno per quanto concreto possa essere, ma consiste nello spostare la lente di ingrandimento sul problema “giusto”.
L’innovazione non è più figlia di un buon design
Scontato? Mica tanto se riflettiamo su quanta energia viene sprecata nel non riuscire a individuare il problema corretto in grado di farci uscire dal pantano.
Immaginate di vedere a rischio la vostra vita e di dover scommettere in pochi secondi su ciò che è in grado di salvarvi. Forse non avreste dubbi.
La complessità del design thinking, una volta aggirata la boa della fiducia, consiste nel fatto che identificato il percorso progettuale le tecniche da utilizzare sono molte e differenti, la loro scelta e combinazione è parte del successo del metodo.
Scegliere tra uno storytelling, un’empathy map, un prototipo cartaceo e una visual representation può fare la differenza tra l’ottenere velocemente i risultati attesi o dover ripetere un workshop generativo.
Workshop di design thinking
Il design thinking lavorando sulle idee e sui processi può essere applicato in qualsiasi ambito, dovunque si abbia la necessità di esplorare soluzioni diverse da quelle scontate o da ambiti già pre-codificati.
È evidente che richiede un pizzico di coraggio, ma anche quella capacità di adattarsi ad esplorare nuovi scenari anche mettendo in discussione verità assodate che rappresenta l’unico vero modo per differenziare ed innovare.
È sicuramente una scommessa, ma che a monte di una puntata bassa può far vincere il jackpot.
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Swiffer-Sweeper-Fireball-ITB su www.swiffer.com
Ahh, quasi dimenticavo il panno Swiffer, la Procter & Gamble stava facendo ricerca con gli utenti per creare un nuovo detersivo per i pavimenti di casa. Emerse che le persone non avevano bisogno dell’ennesimo prodotto detergente e profumato ma di qualcosa che catturasse velocemente la polvere e i peli di animale. Insieme diedero vita a quello che sarebbe diventato un prodotto leader sul mercato. Design thinking? Forse, ma sicuramente uno scollare il percorso progettuale da un obiettivo predefinito.
Per approfondire
The Art of Innovation, by Tom Kelley
Change by Design, Tim Brown
The designing for growth field book, Jeanne Liedtka, Tim Ogilvie, Rachel Brozenske
Per imparare
UX University
Introduzione al design thinking, Valentina Catena