User, ospiti o solo persone? L’esperienza del meeting design

L’experience design è un approccio alla progettazione di artefatti che qualcuno è destinato ad utilizzare. Ma possiamo oggi pensare alle persone solo come user, come clienti o dobbiamo iniziare a ragionare sul loro vissuto magari di momenti precisi come nel caso di un evento?

Siamo abituati a pensare lo UX design destinato principalmente ai prodotti digitali. Ma in realtà il perimetro di azione è molto più ampio, tanto che ho sentito la necessità di eliminare la parola “user” dallo user experience design lasciando solo il concetto di esperienza di chiunque vissuta ovunque.

Se l’esperienza vissuta è quella di un ospite, di un addetto, di un paziente, di un turista l’esperienza prescinde l’utilizzo di qualcosa e diventa il vissuto complesso di una persone in un determinato momento e uno specifico contesto. Un’esperienza, appunto. Possiamo dunque limitarci ad studiare le persone come utilizzatori di qualcosa o dobbiamo andare oltre?

Dopo l’esperienza del Web Marketing Festival sono stata invitata a tenere un workshop insieme a Viviana Neglia all’annuale incontro in Italia della Meeting Professionals International (MPI) la più grande associazione di professionisti del settore dell’organizzazione di eventi, meeting, congressi e conferenze.

Confesso che inizialmente ne sono stata un po’ spaventata: cosa ha a che fare una experience designer con la progettazione e l’organizzazione di eventi? Io mi sono sempre occupata di dare vita a prodotti, a servizi, a sistemi, a spazi mettendo al centro le persone, a creare sempre cose più o meno tangibili destinate a restare. Qui invece sono stata coinvolta a confrontarmi con persone impegnate a progettare un “prodotto” con un ciclo di vita molto definito, tanto da conoscere prima ancora di nascere quando espierà.

Questa aspetto di caducità del prodotto in cui sono impegnati i professionisti di questa importante industria (MICE che sta per Meetings, Incentives, Conventions, Exhibitions) mi ha fatto riflettere sulla complessità della differente sfida con cui si misurano: io studio, definisco e creo artefatti che le persone in seguito utilizzeranno, loro progettano per qualcosa che rimarrà solo nella memoria e nell’esperienza di chi le vive. L’arco temporale  dell’evento reale rappresenta l’apice di un momento, spesso breve, che in realtà ha un sempre più ampio  prima e una discreta coda dopo.

Come noteranno i lettori più assidui (che ringrazio sempre di cuore 🙂 l’industria degli eventi non produce né meno né più di quello che fa un buon experience design, con una fondamentale differenza però: il momento del vissuto reale dell’esperienza è ridotto al minimo rispetto al prima e al dopo.

Prima vengono costruite aspettativa e engagement sul profilo di chi parteciperà, sempre con un ascolto attento a chi commissiona l’evento, questa fase avviene in una logica omnichannel ovvero utilizzando canali e touchpoint multipli perfettamente orchestrati tra di loro.
Dopo l’evento l’obiettivo è quello invece di prolungare l’esperienza vissuta durante e confermare nel tempo le aspettative che i partecipanti hanno sviluppate nel pre-evento. Anche questa fase acquista una narrazione diffusa tra differenti punti di contatto che ha l’obiettivo di prolungare il ricordo tanto da far tornare le persone ad interagire con l’evento successivo.

Un tempo era come nel vecchio caro funnel descritto dal marketing: il coinvolgimento del cliente avveniva come un unicum attraverso un processo lineare che lo portava dalla conoscenza del prodotto all’acquisto, così nel design degli eventi il processo aveva l’obiettivo di agganciare le persone, farle “convertire” ovvero acquistare il biglietto e quindi farle partecipare. Il momento dell’evento fisico aveva il suo culmine nell’incontro reale tra organizzazione e partecipante.

Oggi non è più così. Le persone vengono coinvolte in un pre-evento che è sempre più dilatato, queste poi si informano attraverso differenti canali sul valore dell’evento, utilizzano il passaparola fisico e digitale per scegliere e/o coinvolgere altre persone. Acquistano il loro posto in sala come una piccola parte di un’esperienza molto più ampia che comprende un’offerta sempre più ampia e sfaccettata: hotel, cene, visite, incontri, formazione, cultura, benessere. I partecipanti dell’attuale modello MICE vivono un’ora o 2 giorni qualcosa in cui sono già immersi da tempo, questo lasso cronologico precedente li ha preparati e ha fatto spesso alzare l’asticella delle loro aspettative, tanto che la partecipazione all’evento reale non può e non deve tradire le aspettative, deve essere perfetto, senza sbavature tanto da essere memorabile.

 

La memorabilità del momento reale dell’evento sollecita le persone a mantenere aperta la conversazione nel tempo che seguirà fino all’inaugurazione dell’evento successivo.

L’experience design si occupa proprio di progettare esperienze a misura delle persone che le vivranno, ma anche in sintonia con chi lo commissiona, chi lo organizza e chi lo realizza. Progettare per le persone significa tenere conto dello scenario, delle aspettative e dei bisogni di tutti e non importa se l’oggetto è destinato a durare anni, un’ora, se è destinato a mille persone o solo a tre.

 

In altre parole ho capito che devo aggiungere un tassello allo schema che spiega l’applicazione dell’approccio dell’experience e dello human centered design che è proprio quello complesso e sfaccettato della progettazione degli eventi.
Allora grazie MPI dell’invito e grazie a Maddalena Milone CEO di Meeting Planner che ci ha creduto: io e Viviana Neglia siamo pronte a sperimentare l’applicazione dell’experience design in un ambito, oggi, davvero perfetto per questo. ?

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