“Parlami dell’elemento giocoso in Apollonio Rodio”. Questa domanda della mia professoressa di greco alle superiori non mi ha mai abbandonato. L’elemento giocoso è rimasto lì, da sempre un po’ oscuro. Che cosa si intendeva? Che cosa è un elemento giocoso?
Lavoro da un po’ sul concetto di gioco in età adulta e nel design, in ambiti apparentemente poco giocosi come le aziende (anzi a volte addirittura giocofobici) e piano piano mi sono fatta un’idea più chiara dell’elemento giocoso tra gli adulti, ancora poco su Apollonio Rodio.
Giocare comprende una gran quantità di cose, tanto che, in inglese, esistono due differenti parole per indicarlo: play e game.
Play ha molte accezioni, può significare giocare in senso più ampio, confrontarsi, interpretare, fingere, suonare, ma in generale il comune denominatore delle differenti accezioni è rappresentato dal contesto e dall’atteggiamento. Mentre game rappresenta il gioco codificato dalle regole, play è il piacere del tempo passato a fare qualcosa di piacevole. Non a caso playfulness è l’atteggiamento leggero e giocoso che dedichiamo a cose senza fini precisi.
Giocare come attività preziosamente inutile che dà senso e sapore alla vita. Allora non importa l’attività che si faccia, se sia un gioco strutturato o un allegro confronto verbale, quello che conta è lo spirito giocoso che pervade la nostra routine.
Gli umani giocano tutta la vita, da bambini dovrebbe essere l’attività principale, il gioco è il lavoro dei bambini, ricorda Maria Montessori, che giocano in maniera spensierata e creativa, poi via via che si cresce qualcosa si rompe e non si gioca più. Da adulti si tende a ridurre, se non eliminare, il tempo dedicato ad attività senza uno scopo preciso. Con l’età lo spirito spensierato del gioco dedicato all’inutile sembra scomparire. Troppo stress, troppi pensieri, troppe ambizioni. Eppure, come insegna Peter Senge questo è un caso classico di retroazione: non gioco perché devo risolvere i problemi, senza la leggerezza di un atteggiamento giocoso aumento stress e problemi. Divento ostaggio di un loop che alimento in prima persona. Se mi fermassi per dedicarmi a cose senza senso, piacevoli e anche un po’ assurde probabilmente ridimensionerei la situazione.
La predisposizione giocosa e spensierata (playfulness) dovrebbe essere l’essenza stessa della vita di ognuno: a ciascuno il proprio modo di giocare ed essere leggeri: c’è chi è più fisico, più verbale, più visivo, più performer.
Il quotidiano che ci strappa un sorriso o ci fa ridere di gusto ha lo stesso valore di quei momenti magici in cui, da bambini, ci chiamavano per cena e non avremmo mai voluto abbandonare ciò che stavamo facendo. Forse quell’intensità resta irripetibile nell’età adulta, ma provate a riflettere su quale sono per voi i momenti di piacere assoluto, quelli in cui siete in uno stato di flusso intenso, dove nulla potrebbe distrarci, indicato dallo psicologo Mihály Csíkszentmihályi, quel tempo sospeso e perfetto che è pura ricarica. A ognuno il suo.
Ci sono persone giocose che mantengono questo tratto per tutta la vita, altre che lo diventano per esperienza personale, altre ancora, la maggioranza, che cerca di riappropriarsene allenando ciò che si è perso nell’età adulta. Gli animali giocano, sappiamo quanto cani, gatti e delfini possano essere giocosi, ma ve ne sono di insospettabili come i polpi o i corvi che giocano moltissimo. Si tratta della neotenia, ovvero come la definisce la Treccani “quella condizione propria di un carattere che si presenta permanentemente in fase larvale o giovanile”.
In comune con il mondo animale abbiamo l’invito al gioco: sappiamo interpretare i segnali che predispongono l’ambiente al gioco. Negli animali c’è l’andamento ondulatorio, lo sguardo indiretto e non minaccioso, le unghie o i denti ritratti, negli umani c’è il sorriso, quello vero, che coinvolge tutti i muscoli del viso.
Caso 1: l’invito viene accolto e il gioco può iniziare.
Con la mia famiglia in un dato momento della giornata uno dei membri invia agli altri una foto con un’espressione buffa, gli altri rispondono le proprie foto. È un gioco senza fini specifici, apparentemente inutile, ma in realtà rigenerante. È un’azione che esprime affetto, la conferma che stiamo bene e siamo felici, ci mette tutti di buon umore e la giornata continua leggera immersa nei diversi compiti di ognuno.
Questo è l’atteggiamento giocoso.
Ma ci sono casi, tristi, in cui l’invito non viene accolto perché non appartiene alla propria cultura o all’ambiente di riferimento.
Caso 2: l’invito non è capito e tutto finisce tristemente lì.
Recentemente ho interagito per lavoro con un nuovo gruppo di persone, per entrare in empatia e alleggerire la tensione della distanza, ho buttato lì qualche battute nonsense. La risposta è stata chiara: un silenzio assordante dall’altra parte, che mi delinea un ambiente tutt’altro che playful. Il mio invito è naufragato nel nulla, peccato.
I casi riportati sopra mostrano come l’atteggiamento giocoso, in realtà, abbia due conseguenze immediate (ma ne racconterò altre in seguito):
- Rinsalda il gruppo.
Attraverso i codici intrinseci, che rinnovano la voglia e il desiderio di ascoltarsi - Innesca la creatività.
Attraverso la misurazione con nuove regole nell’ambiente protetto del gioco.
Nel caso della mia famiglia, che ha un alto livello di giocosità da sempre, il gioco è veicolo di comunicazione e assume funzioni rituali. Ci si ferma e si gioca perché quel rito è un tempo sacro, tutti vi partecipano per ribadire l’identità del gruppo (e l’affetto naturalmente :). Qui subentra altri fattori importanti: l’intenzione e la scelta individuale. Non si può costringere qualcuno a giocare altrimenti se ne perde l’essenza. Il gioco è libertà. Quando non c’è intenzione e voglia bisogna cambiare gioco o se ne perde il senso. All’interno di un gruppo i codici di gioco possono cambiare: quando le figlie erano più piccole i giochi erano altri, ma è indispensabile che tutti accolgano l’invito con entusiasmo e senza speculazione alcuna (sto per inviare l’ennesimo video di ridicoli barboncini su Instagram a mia figlia che mi risponderà: me lo compri?).
L’atteggiamento spensierato del gioco riduce lo stress, le persone giocose, come ricorda Lynn Barnett docente all’Università dell’Illinois, non rifuggono lo stress, ma non si lasciano dominare da esso. Lo stress tende a innescare comportamenti automatici e ripetitivi che alimentano lo stress stesso e impediscono l’emergere di idee nuove. Il gioco stimola la creatività perché lascia posto a nuove possibilità rispetto agli automatismi di sempre, quelli che Otto Scharmer chiama downloading: faccio così perché non ho tempo, perché si è sempre fatto così, perché l’esperienza mi fa agire sicuro, perché la strada nuova è pericolosa.
Il pensiero divergente e laterale alimentato da un atteggiamento giocoso apre la strada a modi nuovi di vedere e fare le cose, quelli che traduciamo in innovazione.
Il team sopracitato, totalmente chiuso all’elemento giocoso, perpetrava i propri schemi in maniera automatica con scarsa sperimentazione e poca apertura al nuovo. Gli mancava un terzo fondamentale fattore: l’ascolto.
Il gioco condotto in maniera collettiva, volontaria ed entusiasta ci costringe ad osservare e ascoltare gli altri. Per giocare bene dobbiamo interpretare correttamente l’altro: cosa fa, cosa prova, cosa esprime altrimenti non funziona perché il gioco, quello vero, non mente. Questo ci predispone ad un’apertura del sé senza possibilità di mistificazioni.
Ha voglia di giocare? Come si sente? Comprende le regole? Si sente pronto per un nuovo passo di danza? Riusciamo a rientrare velocemente e ricaricati in una modalità seriosa?
Con alcune persone questo apparirà immediato, fluido perché si mette in moto una consonanza pura di intenti e di sentire. Con quelle persone suonate come un ensemble, con altri è necessario trovare le chiavi del gioco e allenarsi, ma il gioco, poi, diventa bellissimo (e potentissimo).
Con altri ancora è necessario arrendersi, l’elemento giocoso di Apollonio Rodio non verrà mai risuscitato, pazienza, possiamo solo essere dispiaciuti per loro.
Nel prossimo post vorrei riflettere sull’atteggiamento giocoso in azienda, che trasforma le organizzazioni nel profondo partendo proprio dalle persone.
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Dimenticavo di dirvi che mi sono sempre considerata una persona molto poco incline al gioco, ho dovuto rivedere le mie convinzioni. Ma ora scusate, vi devo lasciare per mandare un video di bebè cicciotti da Tik Tok all’altra mia figlia.