Viviamo tempi strani. Sollecitati da continui stimoli audio e video, in realtà, non sappiamo più guardare né ascoltare veramente.
Abbiamo perso la capacità di ascoltare in maniera autentica, ma non ce ne rendiamo conto.
L’ascolto che mettiamo in atto è sempre più mediato e asincrono, basti pensare ai vocali, ai podcast, agli audiolibri. Questi mettono in campo un ascolto che non contempla reazione, non richiede risposta immediata. È un ascolto che può dirsi rilassato, che non prevede qualcosa in cambio. È un tipo di ASCOLTO RAPITO perché attento, profondo, ma privo di connessioni biunivoche.
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Tutt’altra musica quando siamo a tu per tu con qualcuno che ci sta parlando. Questo raramente è un ascolto rapito, ma piuttosto un ASCOLTO ALLARMATO. Tutti noi, infatti, durante una conversazione, siamo impegnati a catturare solo le INFORMAZIONI-LEVA, quelle che ci fanno rilanciare prima che l’interlocutore abbia terminato di parlare. William Miller in Listening Well: The Art of Empathic Understanding annovera addirittura dodici comportamenti che mettiamo in atto durante l’ascolto allarmato:
- Ci allarmiamo
- Consigliamo
- Persuadiamo
- Facciamo la morale
- Sondiamo per maggiori info
- Rassicuriamo
- Simpatizziamo
- Distraiamo l’altro dalle sue emozioni.
Alzi la mano chi non ne esercita regolarmente una o più di una in una conversazione. Dobbiamo riconoscere che in questi casi non stiamo ascoltando perché siamo troppo impegnati a pensare come reagire.
L’ascolto vero, quello AUTENTICO, è l’opposto. Tutto il nostro essere è impegnato a catturare il messaggio dell’altro, impegnato ad inviarlo con l’intero corpo. Lo facciamo con l’udito, con la vista, lo facciamo con la prossemica e con le espressioni del volto e vocali.
Che cosa mi sta dicendo veramente questa persona? Perché usa queste parole, questo tono? Perché sta facendo questi gesti? Cosa mi comunica l’espressione del sopracciglio?
Ebbene questo è l’ascolto autentico, quello che lascia che l’altro occupi tutto lo spazio della comunicazione. In questo tipo di esperienza siamo padroni di casa con un ospite speciale, non siamo i protagonisti della scena, che lasciamo volentieri all’altro affinché al nostro ospite non manchi nulla.
Il bravo ascoltatore è un HOST, un ospite. Lo ribadisce dice Indi Young esperta assoluta di ascolto profondo nel suo nuovo libro Time to listening.
I buoni ascoltatori sono merce rara eppure, fateci caso, sono sempre individui speciali: è l’amico che sa ascoltare, è il partner che ci fa sentire ascoltati, è (nel nostro caso) il professionista a cui restituiamo volentieri la nostra esperienza con un brand o un servizio. Risultano sempre persone amate con le quali è fantastico interagire. Sono quelle che posseggono un allure magico che conquistano chiunque si interfacci con loro.
C’è chi ne fa una professione come gli psicoterapeuti o i mediatori, ma tutti dovremmo essere capaci di passare ad un livello superiore di ascolto. Molte cose sarebbero più facili.
Eppure ad ascoltare non si insegna. Tutti pensiamo di essere ottimi ascoltatori malgrado il 95% di noi non ascolta veramente.
L’ascolto profondo chiede innanzitutto consapevolezza: auto-consapevolezza e consapevolezza delle cose che l’altra persona dice e prova. L’autoconsapevolezza ci permette di misurare il volume del pensiero interiore che mettiamo in atto e se questo soffoca il significato di ciò che sta esprimendo l’altro.
Ci sono alcuni piccoli esercizi che possiamo fare per migliorare la nostra capacità di ascolto.
Osserva le tue reazioni
È umano provare emozioni. Non possiamo frenarle, né frenare il tempo. Ma possiamo intercettarle e identificare il tipo di reazione. Ad esempio: l’interlocutore mi sta raccontando che ha vissuto un ricovero ospedaliero. È provato. A noi vengono in mente solo passate esperienze personali e sorge la tentazione continua di restituirle.
Guardale, lasciale andare e riporta l’attenzione sul racconto della persona.
Lasciati andare
Quando stiamo facendo ricerca per comprendere l’esperienza di una persona le domande rappresentano le nostre boe. Ne facciamo una, ascoltiamo e siamo pronti, ancora prima che la persona abbia terminato a pensare alla successiva. È umano, fa parte del lavoro da designer, ma non funziona. Non devi dimostrare niente, devi solo ascoltare.
Smetti di pensare al tuo obiettivo, a ciò che vorresti sapere. Pulisci la mente, offriti come un neofita assetato di conoscenza. Immagina che ogni parola, ogni aggettivo, ogni avverbio suoni nuovo per te. E lasciati completamente soggiogare dal racconto dell’altro.
Immergiti con attenzione assoluta
Quando abbiamo il controllo sul flusso dei pensieri e sulle nostre reazioni automatiche la mente diventa libera di seguire il pensiero di un’altra persona. A quel punto concentrare l’attenzione sul messaggio diventa più facile, puoi permetterti di approfondire senza che l’altro finisca in secondo piano.
È il nostro ospite il protagonista che è lasciato libero di raccontare. Le domande, a quel punto, saranno solo inerenti al suo racconto, a quello che emerge. Per avere il controllo in questo tipologia di ascolto bisogna fare l’esatto opposto di quello che facciamo normalmente: lasciarsi andare all’altro. Fa paura perché la sensazione è quella di non avere più il timone, ma non è così. Un bravo ascoltatore sa dove agire per riportare la persona sul tema e raggiungere gli obiettivi prefissati.
Empatizza, perché non c’è ascolto autentico senza empatia
L’empatia rappresenta l’unico vero strumento necessario. Senza empatia non può esserci ascolto profondo. Esistono due diversi tipi di empatia utilizzati nell’ascolto: affettiva e cognitiva.
Nella pratica di ascolto servono entrambe in una miscela dettata dalla natura dell’interlocutore: chi ho davanti? Chi sto ascoltando e con quale intento? Un familiare, un amico, un collega, un cliente?
Empatia affettiva
1. Riconosco che l’altra persona sta vivendo un’emozione.
2. Ricordo a me stesso che le loro emozioni sono reali e valide. Non può esserci giudizio a riguardo (ricordi all’inizio le reazioni che scattano in ognuno di noi?)
3. Allora offri uno spazio protetto privo di soluzioni o giudizi.
4. Ascolta. Lascia fuori pensieri, retro pensieri e suggerimenti e consigli.
L’empatia affettiva è fondamentale per supportare le persone nell’affrontare le emozioni offrendo di condividerne il “peso”.
Chiunque di noi ha sentito sollievo nell’essere ascoltato da qualcuno che non giudica e non offre soluzioni, è efficace perché semplicemente liberatorio.
Empatia cognitiva
È l’empatia che utilizziamo per assicurarci di capire i meccanismi del pensiero interiore di un’altra persona. In questo caso l’empatia aiuta la persona ad esprimersi liberamente andando oltre la superficie.
La persona viene, infatti, accompagnata a superare le opinioni, i gusti, le generalizzazioni e le preferenze. L’obiettivo dell’empatia cognitiva è quello di cogliere la sostanza, le convinzioni, le reazioni, le logiche che muovono le persone a scegliere e ad agire.
È dal mix di entrambe le forme di empatia che, come ascoltatori, riusciamo a cogliere l’essenza del detto e del non detto di una persona. Ma, prima ancora, dalla consapevolezza di noi stessi e dalla capacità di creare spazio fisico e mentale per l’altro. Il resto è allenamento.
Pratica!
Allora prova questo piccolo esercizio per migliorare la tua capacità di ascolto.
Mentre il tuo interlocutore parla prova a concentrarti solo sulle parole che sta usando. Registrale mentalmente. Al termine della sua dichiarazione conta 5 secondi in silenzio. Ora, invece di portare te stesso/a nella conversazione lascia protagonista l’altro e chiedigli di approfondire una delle sue parole che ti ha regalato.
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