Rompighiaccio e warmup: maneggiare con cautela

nave rompighiaccio

Gli icebreaker sono spesso visti come semplice “riscaldamento”, un momento leggero prima di entrare nel vivo. Ma in realtà, sono molto di più: sono il primo gesto relazionale, la prima atmosfera che si crea in una stanza. E come ogni primo gesto, possono aprire o chiudere, avvicinare o allontanare.

Un buon icebreaker non è solo un esercizio simpatico o creativo. È giusto. Giusto per quel gruppo, per quel momento, per quello che sta per accadere. Serve a sciogliere, sì, ma anche a connettere, a preparare il terreno per il lavoro profondo che verrà. E per farlo davvero bene, bisogna saper leggere il contesto con attenzione: chi c’è nella stanza? Come stanno le persone? Da dove arrivano? Quanto si conoscono? Che tipo di energia è presente?

Un icebreaker fuori luogo può fare più danni che benefici. Se troppo forzato, può generare disagio. Se troppo leggero, può far percepire la sessione come superficiale. Se troppo distante dal tema, può spezzare il filo dell’attenzione invece che nutrirlo.

Per questo, scegliere un icebreaker non è un riempitivo: è una scelta progettuale. È un atto intenzionale che dice qualcosa su come vogliamo che le persone si sentano. E quando è ben fatto, si sente. Le persone si aprono un po’ di più. Si guardano diversamente. Iniziano a costruire fiducia, anche senza accorgersene.

Insomma, un icebreaker non salva una sessione. Ma può aprirla nel modo giusto — oppure comprometterla fin dall’inizio.

Un icebreaker non è solo un momento di leggerezza: è il primo passo dentro il lavoro che ci attende. Per questo, più che distrarre o divertire, dovrebbe preparare. Non basta che funzioni, serve che risuoni.

Quando l’attività iniziale è pensata in relazione al tema della sessione, crea un ponte tra il qui e ora e ciò che esploreremo insieme. È come un piccolo prologo: ci permette di entrare nella materia in modo morbido, esperienziale, condiviso. Non serve essere didascalici — basta un accenno, una metafora, una domanda che apre una finestra sul tema.

Ad esempio, se affrontiamo un tema collaborativo, possiamo proporre un esercizio che metta in moto l’ascolto reciproco. Se stiamo esplorando il cambiamento, un’attività riflessiva su cosa lasciamo andare e cosa ognuno accoglie può nutrire spazi mentali fertili.
Questo tipo di scelta crea coerenza, dà senso al percorso e fa sentire le persone “già dentro”, coinvolte e parte del gioco.

Al contrario, un rompighiaccio slegato dal tema rischia di apparire un gioco fine a sé stesso. Può creare un momento simpatico, ma poi lascia le persone disorientate: “Perché abbiamo fatto questo?”. E questo smarrimento, spesso, genera una partecipazione più timida o distratta.

In sintesi: l’icebreaker non è mai neutro. Può essere una porta d’ingresso intelligente al lavoro — oppure un corridoio che ci fa perdere l’orientamento. La differenza la fa il legame con ciò che vogliamo davvero attivare.


Esempi di ghiaccio pericoloso

Hai mai partecipato a 2 verità e una bugia? Ecco è un esempio tipico di icebreaking pericoloso. Il meccanismo è semplice: ognuno condivide tre affermazioni su di sé, due vere e una falsa. Gli altri devono indovinare quale sia la bugia.

Il risultato? Un mix di risate, stupore e connessione veloce tra persone che magari si incontrano per la prima volta. In apparenza, il rompighiaccio perfetto. Ma lo è sempre?

È leggero, facile da spiegare e funziona anche in ambienti virtuali. Rompe il ghiaccio in modo simpatico, stimola la curiosità reciproca e rivela aspetti sorprendenti delle persone al di là dei ruoli professionali.
In alcune sessioni, ho visto persone empatizzare spontaneamente: davvero suoni l’arpa? Non sapevo che parlassi urdu! E così via.

Ma qui arriva la riflessione importante: un’attività divertente non la rende automaticamente adatta a tutti i contesti.

Ogni gruppo ha una storia, un contesto e una cultura di riferimento, come facilitatori e facitrici non possiamo ignorarlo. In alcune culture, anche solo fingere di mentire può risultare scomodo o irrispettoso, specialmente in presenza di figure più anziane o autorevoli.
In altri casi, l’idea di condividere aspetti personali in un gruppo sconosciuto può generare ansia, soprattutto per chi ha vissuto esperienze di esclusione o fa parte di identità spesso stigmatizzate (come persone LGBTQ+, con disabilità, o appartenenti a minoranze culturali o religiose).

In ambienti con dinamiche di potere asimmetriche, come gruppi misti  con differenti livelli gerarchici, i partecipanti possono sentirsi sotto pressione, temendo di esporsi o compromettere la propria immagine. In quei contesti, persino una semplice bugia può sembrare troppo.

In passato ho fatto i conti con scelte sbagliate, dalle quali ho imparato molto. Ad esempio gli icebreaker che comportano un coinvolgimento fisico possono essere devastanti in alcuni contesti: chiedere alle persone di mimare qualcosa, di rappresentare qualcosa con i corpo in molti ambienti non funziona, le persone si sentiranno intimidite, agiranno con il freno tirato e tutto parte in salita.

Questo vale anche per i temi che sceglierai di lanciare come facilitatore, ricordo due macro errori in cui sono incappata. Il primo quando ho lanciato una domanda al gruppo molto ingenua e un po’ autoriferita: Come vi festeggiate quando sentite di aver portato a termine un gran lavoro? In quel frangente di una realtà pubblica nessuno rispondeva e gli sguardi vagavano tutti un po’ persi. Dopo ho capito che nel quotidiano aziendale l’idea di chiusura di un progetto e di riconoscimento individuale non è così scontato. Le persone semplicemente non capivano la mia domanda.

Lo stesso è stato per uno dei miei rompighiaccio-domanda preferiti: siete bloccati in ascensore con il/la protagonista della vostra serie preferita, con chi siete? Personalmente sono una divoratrice di serie TV e ogni volta mi sbizzarrisco con gusto. Peccato che l’ultima volta solo una partecipante è stata in grado di rispondere gli altri hanno arrancato in evidente difficoltà snocciolando qualsiasi nome di attore/attrice/politico/scrittore. L’età media era alta e forse le serie Netflix erano davvero poco apprezzate.

Quindi, che facciamo: nomi, cose, città?

Non necessariamente. Ma è fondamentale conoscere il contesto e leggere la stanza.
Allora ecco qualche suggerimento se scegli di iniziare con un rompighiaccio:

La chiave? Giocare sì, ma con intenzione

Tutti gli icebreaker possono essere strumenti  efficaci ma richiedono consapevolezza.Il nostro ruolo come facilitatori non è semplicemente intrattenere. È creare spazi in cui le persone si sentano al sicuro, accolte e libere di partecipare nei modi che per loro sono sostenibili.

Quindi, prima di tirare fuori il tuo riscaldamento preferito, prova a chiederti: Questa attività aiuterà davvero a creare connessione o rischia di mettere qualcuno a disagio? Perché nessuna attività, per quanto originale e creativa, vale il benessere e l’inclusione di chi è seduto con noi.

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